martedì 20 maggio 2014

Prevenire le allergie: vero e falso

Di jaro.p attraverso Wikimedia Commons



 Come avevo anticipato, sono stata al convegno su prevenzione e terapia delle allergie organizzato il 16 e 17 maggio a Roma dalla Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica. Alcuni interventi hanno approfondito temi che ho già trattato brevemente: come riconoscere il bambino a rischio di allergia e la necessità di rivolgersi a uno specialista in caso di sospetta allergia e non azzardare diagnosi fai-da-te sulla base dei sintomi.
Si è parlato anche di prevenzione. Se un bambino è a rischio, si può fare qualcosa per ridurre in modo significativo il rischio prima dell'insorgenza del disturbo? Quali sono gli interventi di dimostrata efficacia e quali sono inutili?
I fattori che influiscono sull'insorgenza della malattia allergica sono la predisposizione genetica, che può essere ereditata dai genitori, e fattori ambientali che influiscono sull'espressione dei geni nei primi mesi di vita. Sulla predisposizione genetica non si può far nulla. "Ma possiamo intervenire su altri fattori per limitare il rischio di futura allergia del bimbo di cui si conosce la predisposizione", osserva Giuseppe Pingitore, pediatra allergologo della ASL Roma D.
"Un bambino è considerato a rischio di allergia se ha un parente di primo grado, cioè la madre, il padre o un fratello, allergico", spiega Pingitore. "È considerato ad alto rischio se ha due o più parenti di primo grado allergici". Un bimbo può tuttavia sviluppare un'allergia pur non avendo familiari che ne soffrono. "Spesso il piccolo con tendenza all'allergia è riconoscibile perché fin dalle prime settimane di vita è soggetto a dermatite atopica. Alla dermatite possono seguire manifestazioni di allergia alimentare, asma e infine rinite allergica. È una progressione che prende il nome di marcia atopica. Il bambino con dermatite atopica va considerato a rischio anche in assenza di familiarità".
Quali sono dunque i fattori su cui si può influire per contenere il rischio di insorgenza dell'allergia?
"Innanzi tutto la modalità del parto: il bambino che nasce col cesareo ha una probabilità moderatamente più elevata di soffrire di allergie rispetto al bambino nato con parto vaginale", dice l'allergologo. "Il perché non si sa, ma si ipotizza che al passaggio nel canale del parto il neonato venga colonizzato dalla flora batterica materna che svolge un ruolo importante nella regolazione dei meccanismi immunitari coinvolti nell'insorgenza delle allergie. Probabilmente per la stessa ragione il bambino allattato al seno ha minori probabilità di essere allergico. Il latte materno contiene infatti prebiotici che favoriscono lo sviluppo e il mantenimento di una sana flora batterica. Parto vaginale e allattamento al seno, dunque, riducono il rischio e vanno preferiti quando è possibile".
Non è di alcuna utilità, invece, che la futura mamma si privi di alcuni alimenti potenzialmente allergenici, come i crostacei o le noccioline, in gravidanza o durante l'allattamento. Può mangiare quel che vuole: ai fini delle allergie non cambia nulla.
Passando allo svezzamento, oggi c'è la tendenza ad aspettare il compimento del primo anno prima di dare al bambino alimenti ritenuti più a rischio, come le uova o il pesce. "In reatà non è dimostrato che in questo modo si riduca il rischio di allergia", prosegue Pingitore. "Neppure anticipare o posticipare l'avvio dello svezzamento influisce nel bene o nel male".
Il fumo passivo nuoce alla respirazione del bambino e lo espone a un maggior rischio di soffrire di asma e allergie in generale, quindi non bisogna fumare in presenza dei più piccoli o negli ambienti in cui i bambini soggiornano a lungo.
Avere animali in casa ha un effetto protettivo secondo alcuni studi, aumenta il rischio di allergia secondo altri. Non c'è un giudizio conclusivo al riguardo.
Infine, c'è il capitolo dei probiotici. "In linea teorica, l'assunzione di fermenti lattici da parte della futura mamma nelle ultime settimane di gravidanza e da parte del piccolo nei primi mesi di vita dovrebbe promuovere lo sviluppo di una sana flora batterica e quindi ridurre il rischio di allergia", spiega lo specialista. "Al momento, però, dalla ricerca non abbiamo una risposta definitiva sull'utilità di questo accorgimento, né su quali probiotici andrebbero assunti, dunque non mi sento di raccomandare alle mamme questa strada".

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