giovedì 6 agosto 2015

Il parto in Italia: c'è troppa medicalizzazione

Come è stato il tuo parto? Sei soddisfatta dell'esperienza vissuta? Provate a formulare queste domande su un forum frequentato da neomamme e farete un buon raccolto di “storie dell'orrore”: racconti di travagli affrettati con l'ossitocina per liberare un posto in sala, snervanti monitoraggi in continuo, poca intimità e via vai continuo di operatori, episiotomie praticate di routine.
Gli aneddoti, si sa, non fanno statistica. Che dire, dunque? Sono pochi casi eccezionali che risaltano per la loro negatività, oppure effettivamente l'eccesso di medicalizzazione del parto fisiologico è diffuso nel nostro Paese?

di Tom Adriaenssen via Wikimedia Commons
L'Italia è uno dei Paesi al mondo dove i bimbi nascono in condizioni di maggior sicurezza: la mortalità materna e perinatale è bassissima, abbiamo un sistema sanitario universalistico che assicura a tutte le donne l'assistenza pubblica necessaria”, osserva Serena Donati, ricercatrice del Reparto salute della donna e dell'età evolutiva dell'Istituto Superiore di Sanità. “Fatta questa doverosa premessa, va detto che effettivamente nel nostro Paese c'è un problema di eccessiva medicalizzazione dell'evento nascita. Lo dimostra in primis la percentuale dei tagli cesarei, che sono di gran lunga troppi rispetto a quanto raccomandato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Anche nell'espletamento del parto vaginale, c'è un ricorso eccessivo, e dunque inappropriato, a pratiche mediche come l'induzione del travaglio o l'episiotomia. Il Ministero della Salute tiene il polso della situazione analizzando le schede di dimissione ospedaliera e i certificati di assistenza al parto e l'Istituto Superiore di Sanità conduce indagini campionarie periodiche sull'intero percorso nascita. L'ultima pubblicata risale al 2011-2012”.
È il Rapporto “Percorso nascita:promozione e valutazione della qualità di modelli operativi”, che riporta i dati relativi ad alcuni indicatori di appropriatezza. Ne risulta che il 19,4% delle donne coinvolte nell'indagine che ha partorito per via vaginale ha avuto il travaglio indotto, quasi il doppio del 10% che l'Organizzazione Mondiale della Sanità indica come percentuale ottimale. L'episiotomia è stata praticata nel 43,6% dei parti vaginali. Si fa quasi di routine, mentre l'OMS raccomanda di limitarla ai pochi casi di reale necessità. Mancano informazioni sulla frequenza di altre pratiche a rischio di inappropriatezza, come il monitoraggio continuo durante il travaglio, la somministrazione di ossitocina o la manovra di Kristeller, inutile e pericolosa secondo la letteratura scientifica.

di Kopfjäger via Wikimedia Commons

Soddisfatte?

Il rapporto contiene anche i risultati di un'indagine sulla soddisfazione delle neomamme riguardo l'esperienza del parto. Risultato: il 47,7% delle madri italiane intervistate la considera ottima, il 34,7 la considera buona, il 12,7 soddisfacente, il 3,3 insoddisfacente e l'1,6% pessima.
“È significativo il fatto che meno del 50% delle interpellate abbia giudicato ottima l'esperienza vissuta”, commenta Michele Grandolfo, ex direttore dello stesso Reparto dell'Istituto Superiore di Sanità, uno degli autori del rapporto. “Va detto, inoltre, che una donna a cui viene posta una domanda di questo tipo tende spesso a dichiarare un livello di soddisfazione superiore a quello realmente percepito”.
Perché? “A causa delle aspettative indotte dalla nostra cultura”, risponde Gabriella Pacini, ostetrica di Freedom for Birth Rome Action Group. “La maggior parte delle future mamme è portata ad aspettarsi un parto difficile e doloroso. Così chi ha subito una procedura inutile e inappropriata è convinta che fosse necessaria per il bene proprio e del bambino e non se ne lamenta. Non è socialmente ben accetto lamentarsi e rammaricarsi per un evento che ha portato alla nascita di un bambino sano, quindi la donna col suo piccolo in braccio rimuove quanto di sgradevole ha vissuto”. Ci vorrebbe, dunque, una maggiore consapevolezza da parte delle partorienti sulla fisiologia del parto, sulle circostanze in cui questa o quella procedura medica è realmente indicata e sul diritto al consenso informato e al rispetto delle esigenze e delle preferenze personali. “Le procedure mediche inappropriate, oltre alle conseguenze negative per la salute che possono comportare, producono un danno psicologico”, prosegue Grandolfo. “Inducono un senso di incompetenza, sfiducia nelle proprie capacità, atteggiamenti di delega”.

di Ernest F via Wikimedia Commons


Linee guida

Induzione del travaglio, rottura artificiale delle membrane, rasatura del pube, clistere, posizione litotomica, divieto di bere acqua e idratazione per endovena, somministrazione di ossitocina, monitoraggio continuo, episiotomia, manovra di Kristeller sono alcune delle pratiche a maggior rischio di inappropriatezza elencate nel manuale sull'assistenza al parto fisiologico dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e nelle linee guida sullo stesso argomento del National Institute for Health and Care Excellence britannico.
Nel nostro Paese, al momento, il Sistema Nazionale Linee Guida ha elaborato raccomandazioni relative all'assistenza della gravidanza fisiologica e ai criteri per l'indicazione del parto cesareo, ma non ha pubblicato alcun documento relativo all'assistenza del parto fisiologico.
“Il SNLG è in una fase di ridefinizione e non riceve finanziamenti da due anni”, dice Serena Donati. “La sua attività di fatto è bloccata, tanto che non siamo riusciti neppure a pubblicare l'aggiornamento delle linee guida sulla gravidanza fisiologica previsto per il 2014. La gestione del parto fisiologico è uno degli ambiti in cui sarebbe utile elaborare raccomandazioni per la pratica clinica”.
A Paolo Scollo, presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, non piace il concetto di linee guida per l'assistenza al parto. “Il medico non è un esecutore di linee guida”, dice. “È un professionista che mette a frutto tutti i giorni la sua competenza e la sua esperienza, valutando caso per caso quello che è opportuno fare. Anche le pratiche a rischio di inappropriatezza elencate dall'OMS e dal NICE in alcuni casi sono necessarie. Spetta al ginecologo decidere quando”.
È un dato di fatto, però, che in Italia il parto fisiologico è eccessivamente medicalizzato. C'è qualche controllo da parte della SIGO sull'appropriatezza di intervento dei propri associati? “La SIGO non ha finalità di controllo”, risponde Scollo. “Spetta al singolo medico agire in scienza e coscienza e se commette un abuso ne risponde personalmente. L'eccesso di medicalizzazione c'è, ne siamo consapevoli, ed è spesso legato al fenomeno della medicina difensiva. I ginecologi sono i più tartassati dalle denunce da parte delle pazienti e di solito un medico viene denunciato perché si ritiene che abbia fatto troppo poco, non troppo. Dunque i ginecologi per cautelarsi tendono a fare di più”.
Serena Donati non nega l'impatto del timore delle denunce sul lavoro dei ginecologi. “Ma la risposta giusta non è l'interventismo eccessivo e inappropriato”, dice. “Altrimenti il cane si morde la coda. L'unica strada per risolvere il problema è porre attenzione all'appropriatezza degli interventi recuperando il rapporto di fiducia tra medico e paziente”.
In questo senso anche l'elaborazione di linee guida rappresenta un intervento utile. “Sono strumenti importanti per informare i professionisti sanitari e i cittadini sulle pratiche più appropriate in specifiche situazioni cliniche, tuttavia le evidenze scientifiche non prendono decisioni! Possono solo guidare le scelte assistenziali che spettano comunque ai clinici”, dice Donati. “Le linee guida sono uno strumento per facilitare l'aggiornamento dei professionisti e per aggiornare e condividere i protocolli assistenziali nei diversi presidi sanitari. Rappresentano un aiuto sulla strada per demedicalizzare l'evento nascita”.

Che cosa possiamo fare?

Qualunque cittadino può sollecitare il Ministero della Salute perché promuova l'elaborazione di linee guida su uno specifico argomento”, osserva Michele Grandolfo. “La richiesta ha più peso se viene da una società scientifica, da un'associazione. Io credo che le mamme e le future mamme che si aggregano in rete per comunicare e confrontare le loro esperienze dovrebbero organizzarsi e formulare una richiesta in tal senso. Hanno abbastanza peso per riuscire nell'intento e l'iniziativa sarebbe un'ottima occasione per guadagnare consapevolezza sulla gestione della propria salute”.

domenica 2 agosto 2015

Il neonato sano: istruzioni per l'uso? (Seconda Parte)

Nelle prime ore di vita è meglio allontanare dalla madre il bambino, benché sano e nato a termine, e affidarlo alle cure del personale sanitario, per tenere sotto controllo le sue condizioni di salute e prevenire eventi avversi, improbabili ma sempre possibili.
Nella prima parte di questo post ho riportato le critiche mosse da medici, ostetriche e consulenti per l'allattamento a questa controversa affermazione, contenuta in un documento pubblicato dalla Società Italiana di Neonatologia.
Non è questo l'unico punto critico del testo della SIN.

di Petr Kratochvil via Wikimedia Commons


Il calo fisiologico e l'aggiunta

Per esempio, si legge nel documento che “il calo di peso nei primi giorni di vita fino al 10% del peso di nascita è assolutamente fisiologico e non deve destare preoccupazione”.
Poco più avanti viene detto, però: “Se il calo è tra il 7% e il 10% si integra l’allattamento al seno con latte artificiale (aggiunta di latte dopo la poppata al seno) in modo da garantire al neonato l’apporto adeguato, si controlla la diuresi (semplice osservazione) e si danno indicazioni ai genitori sull’alimentazione al seno. Se il calo di peso è maggiore del 10% si controlla la diuresi con il peso del pannolino, si eseguono esami ematochimici (natremia e creatininemia) e si suggerisce un’integrazione alimentare con latte artificiale dopo la poppata al seno”.
Dunque il calo è fisiologico entro il 10%, ma già al 7% è opportuno intervenire con l'aggiunta di latte artificiale? “In terza giornata dopo il parto, il calo può raggiungere il 10%”, spiega Elisabetta D'Amore, coordinatrice ostetrica di sala parto dell'Ospedale Fatebenefratelli dell'Isola Tiberina di Roma. “Se la soglia viene superata, bisogna comprenderne le ragioni: forse c'è qualcosa che non va nelle modalità di attacco al seno, forse le poppate non sono abbastanza frequenti. Solo se i tentativi di risolvere il problema non danno risultati soddisfacenti e il bambino continua a calare di peso o non lo recupera, si prescrive l'aggiunta, che non deve essere demonizzata, ma che va prescritta quando ce n'è effettiva necessità”.
Ho chiesto a Costantino Romagnoli, presidente della SIN, di chiarire il senso dell'integrazione di latte artificiale se il calo neonatale è al 7%, dunque ancora entro i limiti della fisiologia. “È ben noto che un calo fisiologico superiore al 10% vuol dire che il neonato non ha ricevuto liquidi a sufficienza”, risponde il neonatologo. “Questo comporta spesso una contrazione della diuresi (emissione di urine) e un aumento della concentrazione di sodio e di elettroliti nel sangue che può essere molto dannosa (convulsioni ipernatriemiche). Chi, come me, lavora in in un grande ospedale vede molti neonati che vengono ricoverati con questo problema (la disidratazione, non le convulsioni) perché non è stato valutato bene l’apporto alimentare o perché l’allattamento stenta a decollare. Allora da sempre un calo giornaliero superiore al 5% viene da noi considerato a rischio e necessita di un controllo alimentare (verificare quanto latte prende il bambino, controllare la diuresi e il peso) ed integrare con liquidi l’eventuale carenza. Il limite del 7% è il limite di allarme per evitare che il neonato superi il 10% del calo totale: vuol dire assistere meglio la madre nell’allattamento, controllare più da vicino il neonato in rooming-in ed eventualmente consigliare integrazioni se necessarie”.
Ancora una volta, dunque, il principio che anima queste indicazioni è considerare la fisiologia una condizione a rischio di sfociare nella patologia. “Può accadere che una donna abbia poco latte, che l'integrazione si riveli necessaria, ma non è assolutamente la norma. La disidratazione del neonato non è un evento frequente”, commenta Riccardo Davanzo, neonatologo dell'Ospedale Burlo Garofolo di Trieste. “Bisogna fare chiarezza e non agitare spauracchi”.
L'integrazione con latte in formula non può essere prescritta in via precauzionale, senza reale necessità, perché non è priva di effetti indesiderati. “È l'inizio di un circolo vizioso che pregiudica il buon avvio dell'allattamento”, commenta la Coalizione Italiana per l'Alimentazione dei Neonati e dei Bambini. Succede che il neonato, saziato dall'aggiunta, riduce la frequenza delle poppate al seno e le mammelle, senza la giusta stimolazione, riducono la produzione di latte. Un circolo vizioso, appunto.

di I Produnis via Wikimedia Commons


A richiesta, ma non troppo

Parlando ancora di allattamento, il documento della SIN afferma che “ogni poppata dovrebbe durare in tutto circa 20-30 minuti (non più di 10-15 minuti per seno) alternando il seno da cui si inizia”. Allattamento a richiesta, dunque, ma con l'orologio in mano.
“Ogni neonato ha i suoi tempi, che sono anche dettati dalla frequenza delle ondate di latte a disposizione e dalla calibrazione del seno”, risponde la CIANB, “in più, il neonato si stacca spontaneamente da una mammella quando ha assunto tutta la quantità di grassi che gli giova; dare tempi per una poppata e per ogni singola mammella va contro la fisiologia dell’allattamento”.
Interpellato su questo punto, Romagnoli risponde così alle critiche. “Chi ha qualche anno sulle spalle, ha vissuto in passato il tempo delle doppie pesate ed ha potuto verificare che tale pratica è poco utile e non la consiglia più, se si attuano gli altri controlli consigliati. Quella pratica però ci ha insegnato che nei primi 5-10 minuti ad ogni seno il neonato assume il 95% del latte che assumerà in totale qualunque sia la durata della poppata”.
Va detto, però, che la composizione del latte materno non è omogenea nel corso della poppata. “Quello che il piccolo assume nei primi minuti di suzione è ricco di zuccheri e povero di grassi, acquoso”, spiega Elisabetta D'Amore. “Man mano che la mammella si svuota, il liquido si fa più denso e ricco di grassi, indispensabili per il nutrimento del neonato. I bimbi che d'abitudine vengono staccati pochi minuti dopo avere iniziato a mangiare, crescono più lentamente e tendono a cercare più spesso il seno”.
Riguardo alla frequenza delle poppate nelle prime settimane di vita, il testo della SIN dice che “è importante attaccare il neonato al seno appena possibile e frequentemente nei primi giorni di vita poiché la suzione dal capezzolo è l’unico stimolo veramente efficace per la produzione del latte”, ma poi aggiunge: “Il neonato si autoregola nell’appetito e piange quando ha fame. Questo è certamente vero quando il colostro iniziale si sarà trasformato in latte maturo (15-20 giorni dopo il parto), ma fino a quel momento cercare un ritmo sarà utile per il neonato e per il seno materno. Se si attacca il neonato al seno ogni 2-3 ore e si cerca di allungare il tempo tra una poppata e l’altra non c’è dubbio che si facilita l’assunzione di quantità di latte maggiori perché il seno ha più tempo per riempirsi. Nello stesso tempo un neonato che mangia quantità sempre maggiori tende ad assumere un ritmo di poppate inferiori lasciando alla madre il tempo di recuperare (forze e sonno)”.
Dunque la suzione frequente stimola la produzione di latte, ma è meglio allungare la distanza tra le poppate per consentire al seno di riempirsi. I conti non tornano.
“Se è vero che in fase di avvio dell’allattamento la stimolazione più frequente è utile a stimolare la produzione di latte”, commenta Costantino Romagnoli, “una volta avviato l’allattamento il neonato tende ad assumere più latte ad ogni poppata e questo dilata progressivamente il suo stomaco che all’inizio è una cavità virtuale. Ora, se il neonato viene allattato ogni ora, prende poco latte (quello che si può essere prodotto in un’ora) e mangerà 15-20 volte al giorno. Questo porta la madre ad un affaticamento che va ad interferire fisicamente e psicologicamente sull’allattamento futuro. Si pensi che, oggi, il sentirsi non adeguata all’allattamento è la causa principale della depressione post-partum”.
Ma se il bambino non succhia frequentemente, il seno non si riempie. “È un meccanismo naturale che si è sviluppato nei mammiferi per rallentare o bloccare la produzione del latte se la richiesta da parte del piccolo diminuisce o viene a mancare”, spiega Elisabetta D'Amore. “Distanziare forzatamente le poppate comporta una riduzione della produzione di latte. Il bambino regola la produzione del latte materno aumentando o diminuendo la frequenza delle richieste a seconda della quantità di alimento di cui ha bisogno”.
Infine, si legge nel testo della SIN: “Bisogna rassicurare le mamme che se si somministra qualche liquido (acqua, camomilla, tisana) al neonato questo si attaccherà comunque al seno”.
A che pro somministrare al neonato acqua, camomilla o tisana, se ricava i liquidi e il nutrimento di cui ha bisogno dal latte materno? “Se un neonato piange ininterrottamente, nonostante la madre lo tenga al seno in continuo (e non è evento poco frequente soprattutto nei primi giorni dopo il parto per primipare, tagli cesarei, madri con capezzoli introflessi, neonati di basso peso e late preterm) cosa si proporrà di fare se non di dare qualche liquido? O sarebbe meglio il latte artificiale?”, risponde Romagnoli.
“Il neonato che mangia regolarmente, che bagna 5-6 pannolini al giorno e che cresce secondo fisiologia non ha bisogno di acqua, camomilla, tisane o di latte in formula”, dice Elisabetta D'Amore. “Il fatto che pianga frequentemente non vuol dire che abbia fame o sete. Il pianto è un sintomo aspecifico: può dipendere da mille motivi. Bisogna piuttosto cercare di capire perché il piccolo si comporta così. La somministrazione di liquidi in aggiunta al latte materno nei primi giorni di vita, a meno che non sia necessaria per ragioni mediche, mette a rischio il buon avvio dell'allattamento, perché può instaurare nel bambino una falsa percezione di sazietà e spingerlo a succhiare meno latte”.

Nella prima e nella seconda parte di questo post ho evidenziato alcuni dei punti più controversi del documento pubblicato dalla SIN. “Sono certo che queste mie considerazioni accresceranno le critiche più che rispondere ad esse”, ha commentato Romagnoli al termine dell'intervista. “Ma la pratica clinica non è fatta di sentenze e di teorie. La salute della madre e del bambino la si protegge agendo in sicurezza ed evitando rischi inutili”.
L'approccio che il presidente della SIN propone per agire in sicurezza e prevenire rischi inutili non è condiviso da tutti i suoi colleghi. “Il documento del presidente è oggetto di discussione sia all'esterno che all'interno della Società”, dice Davanzo. “La dialettica è accesa. Il dibattito proseguirà e vedremo a che cosa porterà”.