lunedì 16 ottobre 2017

Fare un figlio col morbo di Crohn o la colite ulcerosa

Qualche settimana fa un'amica su Facebook mi raccontava del suo parto, assistito con particolari cautele perché è affetta da morbo di Crohn. Pochi giorni dopo a Roma sono stata invitata al congresso nazionale della Società Italiana di GastroReumatologia, che riunisce gli esperti di malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI): il morbo di Crohn, appunto, e la colite ulcerosa. Si è parlato in particolare di come vivono l'attesa di un bimbo le donne che soffrono di queste patologie.

Non sono poche oggi in Italia le persone affette da Crohn o colite ulcerosa. Se ne contano circa 200 mila, tre ogni mille abitanti, e tante sono donne in età fertile, perché nella maggioranza dei casi le malattie esordiscono tra i 20 e 40 anni. Con quali prospettive possono affrontare la ricerca di una gravidanza? Che rischi corrono? Quali accortezze devono adottare?

Il morbo di Crohn può colpire qualunque tratto dell'apparato digerente.
Grafica dal sito di Amici Onlus, associazione di persone
 affette da MICI e dei loro familiari (www.amiciitalia.eu)

Infiammazione di origine autoimmune


Quale sia esattamente il meccanismo responsabile delle malattie infiammatorie croniche intestinali non è ancora noto. Sono patologie autoimmuni con una componente di predisposizione familiare. Fattori scatenanti sconosciuti attivano una risposta immunitaria anomala diretta contro la mucosa dell'intestino. A subire l'attacco è qualunque tratto dell'apparato digerente nel morbo di Crohn, solo l'ultimo tratto dell'intestino nella colite ulcerosa.

Entrambe le malattie sono croniche e ricorrenti: periodi di remissione si alternano a periodi in cui l'infiammazione si acutizza e sulla mucosa si formano ulcere, ascessi, stenosi e fistole. Non esiste una terapia definitiva ma farmaci per combattere l'infiammazione nelle fasi acute e prolungare le fasi di remissione. In alcuni casi si ricorre alla chirurgia per riparare i danni oppure rimuovere tratti di intestino danneggiati.

“Oggi abbiamo a disposizione diversi farmaci per il trattamento delle forme più o meno gravi, in fase di remissione o in fase acuta”, spiega Bruno Laganà, presidente della Società Italiana di GastroReumatologia. “Abbiamo anti-infiammatori non steroidei che agiscono in modo specifico sull'intestino, steroidi, immuno-soppressori e i farmaci biologici, disponibili da una ventina d'anni. Sono anticorpi monoclonali, molecole progettate a tavolino per interferire con i meccanismi del processo infiammatorio”.

La colite ulcerosa colpisce l'ultimo tratto dell'intestino.
Grafica tratta dal sito di Amici Onlus

Progettare una gravidanza con le MICI


Il progetto di una gravidanza non è incompatibile con una malattia infiammatoria cronica intestinale, a patto di programmare il concepimento in un periodo di remissione della patologia e avere l'assistenza degli specialisti di riferimento.
“La gravidanza che insorge durante un periodo di remissione della malattia materna non è diversa dalla gravidanza nella popolazione generale per quanto riguarda i rischi e le complicanze ostetriche”, dice Micaela Fredi, immunologa degli Spedali Civili di Brescia. “E il rischio di acutizzazione durante l'attesa è basso. Al contrario, se la gravidanza insorge mentre la malattia è attiva, il rischio di peggioramento per la madre è elevato e lo stato infiammatorio aumenta la probabilità di interruzione spontanea, parto pretermine, ritardo dello sviluppo intrauterino, basso peso alla nascita, ricorso a parto cesareo urgente”.

Per questa ragione è importante che l'aspirante mamma prima di cercare il concepimento consulti lo specialista da cui è in cura e che questo lavori di concerto con il ginecologo che seguirà la gravidanza. “Insieme devono attuare un attento controllo del benessere materno-fetale”, spiega Fredi. “Non c'è modo di prevedere a priori la durata di un periodo di remissione, ma attraverso esami del sangue periodici si possono riscontrare eventuali alterazioni degli indici di infiammazione, come la velocità di sedimentazione delle emazie e la proteina C reattiva, l'insorgenza o il peggioramento dell'anemia, segnali che fanno sospettare precocemente una riaccensione della malattia. Si può impostare di conseguenza una terapia mirata al mantenimento della remissione materna, compatibilmente con il corretto sviluppo del nascituro”.

La sicurezza dei farmaci


Un tempo si raccomandava all'aspirante mamma di assumere i farmaci per il controllo dell'infiammazione fino all'esito positivo del test di gravidanza e poi di sospenderli in via precauzionale, nel timore che potessero indurre delle malformazioni a carico del feto. Così facendo, però, il rischio di riacutizzazione della malattia era elevato. “Oggi i nuovi dati di cui disponiamo ci permettono di autorizzare il proseguimento della terapia con anticorpi monoclonali fino al terzo trimestre o fino alla fine della gravidanza, a seconda del farmaco usato”, dice l'immunologa. “I farmaci biologici sono molecole di grosse dimensioni. Il loro passaggio attraverso la placenta inizia nel secondo trimestre e diventa più efficiente solo nel terzo. Per alcuni di loro il passaggio è ridotto anche nel terzo trimestre. Numerosi studi hanno escluso il rischio malformativo”.

L'assunzione di queste molecole in gravidanza può comportare un abbassamento temporaneo delle difese immunitarie del neonato. “Meglio quindi attendere 18 mesi di vita prima di somministrare al bimbo vaccini che contengono virus vivi attenuati, come il quadrivalente contro morbillo, parotite, rosolia e varicella, che normalmente andrebbe fatto al compimento dell'anno di età”, avverte Giammarco Mocci, gastroenterologo dell'Ospedale Brotzu di Cagliari. “Via libera senza problemi alle altre vaccinazioni previste nel corso del primo anno, che contengono solo microrganismi inattivati o loro frammenti. Dopo i 18 mesi si può somministrare in piena sicurezza anche l'anti-morbillo, parotite, rosolia e varicella”.
Per altri farmaci diversi dagli anticorpi monoclonali non sono disponibili dati sufficienti a consentire l'assunzione in gravidanza.

Parto e dopo parto
Il sito di Amici Onlus
riporta un elenco aggiornato dei centri di
gastroenterologia attivi in Italia


Le modalità del parto, se vaginale o cesareo, dipendono dalla localizzazione della malattia, dalle condizioni della madre e da eventuali indicazioni ostetriche. “Le pazienti con malattie infiammatorie intestinali ricorrono al cesareo più frequentemente rispetto alla popolazione generale”, osserva Micaela Fredi. “L'intervento può essere necessario se la patologia intestinale è associata a spondiloartrite, una malattia reumatica della colonna vertebrale, cosa che talvolta accade. La spondiloartrite può rendere meccanicamente difficoltoso il parto per via vaginale”.

Nato il bimbo, le condizioni della neomamma devono essere seguite con attenzione, perché il puerperio è un periodo a maggior rischio di riaccensione della malattia. “Si ritiene che la variazione dei livelli ormonali dopo la gravidanza possa portare a una riattivazione del sistema immunitario per i successivi 6 mesi. I meccanismi sono molteplici e non tutti ben chiariti”, dice Fredi. “Sono necessari, quindi, frequenti controlli clinici ed esami del sangue. Scegliendo i farmaci giusti, la terapia con anticorpi monoclonali è compatibile con l'allattamento, perché la concentrazione delle molecole nel latte materno è bassa”.
https://amiciitalia.eu/index.php/centri-gastroenterologia/centri


Nessun commento:

Posta un commento

Che cosa ne pensi?