mercoledì 13 dicembre 2017

Contraccezione gratuita e consapevole: 8 obiezioni, 8 risposte

Foto di Marina Toschi, editing di Eleonora Cirant
È passata una settimana dal giorno in cui il Comitato per la contraccezione gratuita e consapevole, di cui faccio parte, ha lanciato sulla piattaforma Change.org una petizione per chiedere ad AIFA e Ministero della Salute la rimborsabilità dei mezzi contraccettivi essenziali per garantire il diritto alla salute sessuale e alla procreazione responsabile. Abbiamo diffuso la notizia attraverso i canali della stampa e dei social media e siamo molto contenti dell'interesse suscitato e del contatore delle firme che avanza sempre più.

I nostri post e gli articoli che parlavano della petizione hanno raccolto anche diverse obiezioni. Alcune sono poco più che provocazioni. “Perché una donna anziana dovrebbe contribuire con le sue tasse alla contraccezione dei giovani?”, chiede qualcuno nei commenti di un giornale. Potrei rispondere: perché una persona senza figli dovrebbe contribuire con le sue tasse alla scuola pubblica? O un non vedente all'illuminazione stradale?

Altre obiezioni sono interessanti e meritano una riflessione più approfondita. Ho raccolto le più comuni e ho consultato gli specialisti che fanno parte del Comitato o che hanno aderito alla nostra campagna per aiutarmi a replicare.

In Italia si fanno sempre meno figli. Anziché offrire contraccettivi gratuiti, incoraggiamo a fare più bambini!


“Nei Paesi in cui la contraccezione è più diffusa, come la Francia e la Svezia, si fanno più figli che nei Paesi come Irlanda e Italia”, osserva Elisabetta Canitano, ginecologa consultoriale di Roma. “Non è la facilità di accesso alla contraccezione che ostacola la procreazione, ma la scarsa attenzione alle necessità delle donne e delle famiglie. E la contraccezione a pagamento è un esempio di questa scarsa attenzione. Più le donne e le famiglie percepiscono di avere tutto sulle proprie spalle e meno figli fanno”.
Personalmente condivido al 100% l'appello di chi chiede un welfare più attento alle famiglie con figli, strutture pubbliche per i bambini, strumenti più efficaci per conciliare lavoro e famiglia. Queste richieste non sono alternative a quella della rimborsabilità dei contraccettivi. Tutt'altro: vanno nella stessa direzione.
“Va detto, poi, che la contraccezione ha anche un ruolo protettivo della fertilità”, aggiunge Canitano. “Si pensi ai preservativi, che difendono da malattie a trasmissione sessuale come la clamidia, una delle prime cause di subfertilità e infertilità femminile. Se più giovani ne facessero uso nella fase della loro vita in cui non vogliono ancora avere figli, si risparmierebbero tante brutte sorprese più avanti negli anni, quando le conseguenze di un'infezione passata possono minare un progetto di gravidanza”.

Contraccettivi gratuiti vuol dire a carico del contribuente. Perché dovremmo affrontare questa ulteriore spesa in tempi di crisi economica?


“Innanzi tutto perché la legge prevede che lo Stato incoraggi la procreazione responsabile tra i cittadini”, risponde l'epidemiologo Michele Grandolfo, già direttore del reparto Salute della Donna e dell'Età Evolutiva del Centro Nazionale per la Prevenzione delle Malattie e la Promozione della Salute. “La n.405 del 29 luglio 1975 cita tra gli scopi dell'assistenza alle famiglie e alla maternità 'la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in ordine alla procreazione responsabile, nel rispetto delle convinzioni etiche e dell'integrità fisica degli utenti' e la legge 194 del 22 maggio 1978 ribadisce che 'lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile'. Anche il Progetto Obiettivo Materno Infantile, introdotto dal Ministero della Salute nel 2000 prevede programmi di counselling sulla procreazione responsabile e la salute sessuale e l'offerta attiva di mezzi contraccettivi. E non si può fare offerta attiva senza la gratuità”.
La rimborsabilità dei contraccettivi non è una spesa, ma un investimento nella prevenzione, che ripaga con gli interessi. “Prevenire le gravidanze indesiderate vuol dire ridurre i costi delle interruzioni volontarie”, spiega Grandolfo. “È impossibile eliminare del tutto il ricorso all'aborto, ma con un buon piano di counselling e l'offerta gratuita dei mezzi anticoncezionali si potrebbero dimezzare le richieste di interruzione. Basti pensare che l'introduzione sul mercato italiano della contraccezione di emergenza ha ridotto del 5% il numero degli aborti da un anno all'altro. Per come viene fatta oggi in Italia, in anestesia totale e con l'esigenza di ricovero ospedaliero, un'interruzione volontaria costa circa 1000 euro e nel 2016 ne sono state effettuate 84.874”.
A queste spese da mancata contraccezione si sommano quelle relative alla cura delle malattie a trasmissione sessuale e dei problemi di salute che possono derivare da gravidanze indesiderate portate avanti, da gravidanze troppo ravvicinate o non programmate.
“I soldi a disposizione della sanità pubblica, anche quelli per attuare un serio piano di counselling per la procreazione responsabile, ci sarebbero, ma vengono sprecati in diagnostica e trattamenti inappropriati. Si tratta di decidere come allocare le risorse e tagliare gli sprechi”, conclude Grandolfo.

Perché non incentivare, piuttosto, la contraccezione naturale, che è gratuita e non ha effetti collaterali?


“I metodi naturali basati sulla conta dei giorni o l'esame del muco cervicale hanno margini di errore notevoli, fino al 30%. Non mi sentirei di consigliarli a chi non desidera assolutamente una gravidanza, se mai solo per distanziare le nascite”, risponde Marina Toschi, ginecologa consultoriale a Perugia. “E voglio ricordare che non proteggono dalle malattie a trasmissione sessuale. Non parliamo poi del coito interrotto, il metodo naturale più utilizzato, che ha un margine di sicurezza molto basso e non rassicura la donna, condizionando la riuscita al buon comportamento, alla volontà e alla capacità maschile”.
Detto ciò, attuare un programma di promozione della procreazione responsabile non vuol dire escludere o disincentivare i metodi contraccettivi naturali. “Il ruolo del personale che fa counselling, dal medico di medicina generale agli specialisti del consultorio, è di aiutare il singolo e la coppia ad analizzare la situazione, esprimere le proprie preferenze e sviluppare le competenze per scegliere in autonomia il mezzo contraccettivo più adatto a loro”, osserva Michele Grandolfo. “Va benissimo la scelta di usare metodi naturali, se è questo che vogliono i diretti interessati, dopo essere stati informati sui limiti di questo approccio e sul modo migliore per metterlo in atto. Alla base di tutto c'è la conoscenza del proprio corpo e della fisiologia della riproduzione. Con la giusta preparazione, la fallibilità dei metodi naturali diminuisce. Al contrario, senza le dovute conoscenze e attenzione, anche la pillola fallisce perché ci si dimentica di prenderla”.

Se offriamo contraccettivi gratuiti agli Italiani, solo gli immigrati continueranno a fare tanti figli e tra un paio di generazioni ci sostituiranno!


Tralasciando le mie considerazioni personali sul pensiero che sottende questo tipo di obiezione, gli stranieri di recente immigrazione sono una delle categorie che trarrebbe maggiore beneficio da un programma di counselling e dall'offerta gratuita dei mezzi contraccettivi, perché si trovano spesso in condizioni di isolamento sociale e disagio economico e non sanno o non possono accedere agli strumenti necessari per regolare la propria fecondità.
“I migranti che arrivano da noi si adattano immediatamente alla riduzione del numero di figli”, dice Elisabetta Canitano. “Sono venuti per stare meglio, quindi non vogliono una famiglia numerosa e affamata come avrebbero avuto a casa. Fanno ricorso all'interruzione di gravidanza e, se sono correttamente informati e sostenuti, fanno ricorso alla contraccezione spesso più degli Italiani”.

Offrire contraccettivi gratuiti ai giovani vuol dire incoraggiarli ad avere rapporti sessuali. Puntiamo piuttosto sull'educazione!


“Offrire contraccettivi gratuiti non vuol dire mettere delle macchinette che li dispensano, ma attuare un programma di promozione della procreazione responsabile che mira a rendere i singoli e le coppie consapevoli della propria salute”, dice Michele Grandolfo. “Un programma che andrebbe perseguito in diverse sedi: nello studio del medico di famiglia, nei consultori e anche nelle scuole, rivolto ai giovanissimi. Educare alla consapevolezza e all'autonomia nel settore della sessualità vuol dire aiutare i giovani a sviluppare un senso del sé equilibrato, a gestire con responsabilità la propria salute per tutta la vita”.
Finora in Italia rispetto all'educazione sessuale dei giovanissimi si è adottato l'approccio della “security through obscurity”, la “sicurezza attraverso la segretezza”, basato sul principio che tenere nascoste le informazioni sul funzionamento di un sistema lo rende inaccessibile. È un approccio notoriamente fallimentare.
“Negli Stati Uniti di Bush si tentò di incentivare i giovani ad arrivare vergini al matrimonio con l'esperimento degli anelli della verginità”, ricorda Elisabetta Canitano. “Risultato: i giovani che portavano l'anello della verginità avevano i primi rapporti sessuali alla stessa età degli altri, ma adottando meno precauzioni. L'offerta gratuita dei mezzi contraccettivi serve anche a insegnare la prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale”.

Con questa iniziativa arricchite le aziende farmaceutiche e i fabbricanti di dispositivi, per fornire ai cittadini dei prodotti che hanno effetti collaterali dannosi per la salute!


“I contraccettivi di cui chiediamo la rimborsabilità sono proprio quelli che comportano i minori rischi di effetti collaterali”, risponde Marina Toschi. “Noi valutiamo i rischi e cerchiamo di minimizzarli. I più ampi studi inglesi fatti da medici di famiglia, e non dalle case farmaceutiche, dimostrano che tra le donne che hanno utilizzato estroprogestinici per più di 20 anni si registrano tassi inferiori di mortalità per tumore dell'utero, delle ovaie e dell'intestino. Una gravidanza indesiderata è un peso notevole per la salute fisica e psicologica di una donna e di una coppia. Non è vero, poi, che la nostra iniziativa frutterebbe maggiori guadagni alle aziende, perché queste sarebbero costrette a calmierare i prezzi nella contrattazione con l'AIFA per gli acquisti su larga scala”.

È un'iniziativa femminista. Io sono un uomo e non mi interessa.


“Donne e uomini fanno l'amore insieme”, risponde Elisabetta Canitano. “Proteggersi dalle malattie e programmare i figli è interesse comune”.





Qui si parla di diritti sessuali, ma non esiste il diritto al sesso. Infatti c'è chi vorrebbe farlo e non trova nessuno interessato…


“Naturalmente ognuno decide della propria attività sessuale, se averla o non averla. In questo senso non esiste un diritto alla sessualità”, risponde Roberta Rossi, psicologa e psicoterapeuta e presidente dell'Istituto di Sessuologia Clinica di Roma, “ma esiste un diritto alla sessualità consapevole e informata, all'interno del quale rientra la possibilità per tutti di avere accesso ai servizi per la salute riproduttiva, che offrano la scelta più vasta possibile di metodi anticoncezionali efficaci e sicuri e che siano a loro volta accessibili, convenienti e graditi agli utenti. Come ottenere il miglior standard possibile di salute sessuale per tutti senza gli strumenti di prevenzione di base, cioè i contraccettivi?”



mercoledì 6 dicembre 2017

Contraccezione: un diritto negato

“Mi chiamo Giovanna, ho 29 anni e vivo in provincia di Verona. Dopo aver fatto due figlie in due anni, vorrei mettere la spirale, ma non riesco a sostenerne il costo. Anche i 15-20 euro al mese della pillola per me sono un problema. Onestamente, non sono chissà che caso eclatante: sia io che mio marito lavoriamo, ma il mio bilancio mensile fatto di mutuo, nido, rata della macchina, spesa e bollette non mi lascia molto scegliere!”
Giovanna (non è il vero nome), mi avverte che la sua “non è una storia lacrimevole” e quindi forse non è materiale adatto per il post che voglio scrivere. Le rispondo che non sto cercando storie lacrimevoli, ma l'esperienza vera, quotidiana, di tanta gente che arriva a fatica a fine mese e si trova costretta a scegliere tra le spese necessarie e a rinunciare alla contraccezione.

L'articolo 32 della nostra Costituzione recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. La legge istitutiva dei consultori, la 405 del 29 luglio 1975, cita tra gli scopi dell'assistenza alla famiglia e alla maternità “la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni etiche e dell'integrità fisica degli utenti” e la legge 194 del 22 maggio 1978 ribadisce “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile”.
Nel 2017 non potrebbe essere diversamente: il diritto alla salute sessuale e alla procreazione consapevole e responsabile è fondamentale in qualunque Paese democratico e i vari fertility day e appelli a fare più figli che si susseguono da qualche anno non possono certo prescindere dalla libertà nelle scelte riproduttive. Questo diritto, però, deve essere concretamente attuabile e in Italia oggi non lo è.

Preservativi maschili
“Esistono tanti mezzi contraccettivi differenti, adatti a diverse fasi della vita, a diverse condizioni di salute e alle preferenze personali di ciascuno”, spiega Elisabetta Canitano, ginecologa presso la ASL Roma 3 e presidente di VitadiDonna, associazione del Consorzio della Casa Internazionale delle Donne. “Ci sono quelli meccanici, come il preservativo maschile o femminile, quelli farmacologici, come la pillola, quelli con caratteristiche miste, come la spirale intrauterina medicata. Oggi nel nostro Paese, a parte rare iniziative locali a macchia di leopardo, tutti questi mezzi sono a carico dei cittadini. Nessuno è a carico del Sistema Sanitario Nazionale e dunque gratuito per gli utenti”.

Accesso negato
Preservativi femminili. Proteggono dalle gravidanze indesiderate
e dalle malattie a trasmissione sessuale


Il nostro è un Paese arretrato per quel che concerne la contraccezione. I dati parlano chiaro: al terzo posto tra i metodi scelti dalle donne italiane per evitare gravidanze indesiderate, dopo il preservativo e la pillola, c'è il coito interrotto. “Non lo si può neppure considerare un anticoncezionale, tanto è inefficace”, osserva Marina Toschi, ginecologa consultoriale, membro del Board della European Society for Contraception.
Eppure, in Italia vi fa ricorso il 19,4% delle donne sessualmente attive nella fascia d'età dai 18 ai 49 anni secondo l'indagine multiscopo dell'Istat sulle condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari del 2013. Il confronto col resto d'Europa è imbarazzante: in Francia nel 2015 ha scelto il coito interrotto come mezzo contraccettivo lo 0,4% delle donne sessualmente attive tra i 15 e i 49 anni, il Germania e in Belgio lo 0,7%, in Austria lo 0,6%, secondo il rapporto delle Nazioni Unite “Trends in Contraceptive Use Worldwide 2015”.
E ancora, un'indagine della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia del 2013 ha evidenziato che il 42% delle ragazze italiane under 25 non utilizza alcuna misura anticoncezionale al primo rapporto sessuale. Il 5% in più rispetto ai risultati di un'analoga inchiesta svolta nel 2010.

Diversi sono i fattori che contribuiscono a questo stato di cose, in primis la cattiva informazione e il retaggio culturale, ma anche l'aspetto economico fa la sua parte.
“Ricordo la visita di una mamma al mio studio. Era venuta a chiedermi la prescrizione di un contraccettivo orale per la figlia. Inizialmente lei era contraria, ma dopo tanto insistere la ragazza l'aveva convinta e aveva ottenuto il suo consenso. Quando ha capito che il farmaco era a pagamento, mi ha spiegato che sarebbe stato complicato poterlo acquistare senza dire niente al marito, cioè al padre della ragazza, che era all'oscuro della faccenda”, racconta Tecla Mastronuzzi, medico di famiglia a Bari. “Presto servizio nel quartiere San Pio, che una volta si chiamava Enziteto, zona di periferia più che degradata, dove l'abbandono scolastico e le prime gravidanze a 20 anni o poco meno sono la regola. Sono tante le giovani che non fanno ricorso ad alcun mezzo contraccettivo. I partner sono contrari, perché convinti che il rischio di una gravidanza indesiderata sia il miglior deterrente contro l'infedeltà. Le donne non hanno autonomia finanziaria e il costo dei contraccettivi diventa un ostacolo insormontabile”. Disagio sociale, ignoranza e ostacoli economici formano una miscela micidiale.
Anello vaginale che rilascia attraverso la mucosa una miscela di ormoni
estroprogestinici. Protegge per un mese dalle gravidanze indesiderate

Le donne, le coppie che non possono permettersi la contraccezione per motivi economici sono quelle più danneggiate se incappano in una gravidanza indesiderata. “Capita. Capita a madri che hanno già quattro o cinque figli e il marito disoccupato”, racconta Anna Fracassi, ostetrica del consultorio AREA di Vestone, convenzionato con la ASL di Brescia. “Ricordo una donna, con una bimba di un anno, che non voleva subito una nuova gravidanza ed è venuta a chiedere la prescrizione per un contraccettivo orale. Cercava quello che costa meno. Alla fine ha optato per un farmaco che si trova in fascia A, cioè rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale ed erogabile dietro pagamento di pochi euro di ticket o gratuitamente a chi ha l'esenzione per reddito. Peccato che non si tratti di un vero contraccettivo. È un anti-androgeno per il trattamento dell'acne: contiene etinilestradiolo e ciproterone, cioè un estrogeno e un progestinico e svolge anche un'azione contraccettiva, ma ha un dosaggio ormonale elevato ed è gravato da effetti indesiderati pesanti. Quella donna non ha avuto scelta e si è dovuta accontentare di una soluzione inadeguata”.

Contraccettivo orale estroprogestinico o progestinico.
Quello progestinico è l'unico che si può assumere in allattamento

Che cosa sono e quanto costano


Diritto alla salute sessuale non vuol dire solo accedere a un qualche mezzo contraccettivo, ma avere la possibilità di scegliere quello più adatto alla propria situazione. “Ci sono donne che possono assumere pillole estro-progestiniche, altre che hanno controindicazioni agli estrogeni e devono far ricorso ai soli progestinici: pillole, spirali medicate, impianti sottocutanei”, spiega Elisabetta Canitano. “Le spirali medicate sono indicate anche come trattamento per le mestruazioni troppo abbondanti. I contraccettivi orali progestinici sono gli unici utilizzabili in allattamento. I preservativi non proteggono solo contro le gravidanze indesiderate, ma anche contro le malattie a trasmissione sessuale”.

Quali sono e quanto costano i mezzi contraccettivi disponibili oggi in Italia? Fatta eccezione per la pillola anti-acne usata come anticoncezionale da chi non può permettersi altro, tutti i contraccettivi orali sono farmaci di fascia C, interamente a carico di chi li acquista. “Costano dai 9 ai 15, fino a 18 euro a confezione che dura un mese, a seconda della formulazione e che si tratti di un generico o di un prodotto di marca”, spiega Marina Toschi. “I progestinici vanno dai 9 ai 15 euro al mese”.
I preservativi costano 8-9 euro a confezione da 6 pezzi. “Quelli femminili costano 6 euro a confezione da 3 pezzi”, prosegue Toschi. “Una spirale al rame costa dai 70 ai 100 euro, a cui va aggiunto il ticket della visita dallo specialista ginecologo che la inserisce. Nei consultori la mettiamo gratuitamente, ma il costo del dispositivo è comunque a carico della donna, salvo rare eccezioni in alcune Regioni e alcune ASL. La spirale medicata con progestinico può costare dai 170 a più di 200 euro”. L'impianto sottocutaneo di uno stick di progestinico è la soluzione più costosa: più di 300 euro e il ticket del medico che lo inserisce.
Spirale intrauterina medicata con progestinico.
Protegge per 5 anni dalle gravidanze indesiderate ed è
indicata nel trattamento della metrorragia

Il progetto Choice della Washington University di St. Louis, condotto dal 2007 al 2011 e pubblicato nel 2012 su Obstetrics and Gynecology, ha coinvolto quasi 10 mila giovani nell'area di St. Louis e ha dimostrato che 75 donne su 100, libere di scegliere senza condizionamenti economici, preferiscono far ricorso agli anticoncezionali reversibili di lunga durata: le spirali, efficaci per 5 anni, e gli impianti sottocutanei, efficaci per 3 anni. E ha dimostrato che questi dispositivi, per la facilità d'uso e l'impossibilità di dimenticanze, sono più efficaci della pillola nella prevenzione delle gravidanze indesiderate e degli aborti volontari.
“Lo studio Choice ha avuto un tale impatto negli Stati Uniti da convincere l'amministrazione Obama a obbligare le assicurazioni sanitarie a coprire anche le spese della contraccezione, come garanzia di un diritto civile alla procreazione responsabile, diritto attaccato ora dall'amministrazione Trump”, dice Pietro Puzzi, ginecologo che opera come volontario in alcuni consultori della ASL di Brescia. “In Italia gli anticoncezionali di lunga durata sono i più costosi”. E non a caso, secondo l'Istat, solo il 4% delle donne Italiane fa ricorso alla spirale, al rame o medicata, e meno dell'1% all'impianto sottocutaneo.

Stick di progestinico per impianto sottocutaneo.
La sua efficacia contraccettiva dura 3 anni
Fino all'estate dello scorso anno, alcuni contraccettivi orali erano collocati in fascia A, tra i farmaci rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale. “Erano estroprogestinici di terza generazione”, spiega Puzzi. “Il 6 luglio del 2016 l'AIFA li ha passati in fascia C senza dare alcuna spiegazione né alle donne, né ai medici. Le donne l'hanno saputo dal farmacista e noi medici dalle donne”.
La motivazione fornita in seguito dall'AIFA è che gli estroprogestinici di terza generazione comportano un piccolo rischio aggiuntivo di tromboembolia rispetto a quelli di seconda generazione, che contengono il progestinico levonorgestrel. “Abbiamo sperato, dunque, che togliere le pillole di terza generazione dalla fascia A fosse il preludio alla rimborsabilità di quelle di seconda generazione, più sicure. Ma fino ad oggi così non è stato”, osserva Puzzi.

Cerotto transdermico che rilascia estroprogestinico
attraverso la pelle.
La sua azione contraccettiva dura una settimana
Per quanto riguarda preservativi maschili e femminili e spirali, non è l'Agenzia del Farmaco che decide sulla loro rimborsabilità perché sono dispositivi e non medicinali. I nuovi Livelli Essenziali di Assistenza, definiti dal DPCM 12 gennaio 2017, prevedono l'erogazione gratuita da parte della ASL al cittadino, dietro prescrizione medica, di alcuni “ausili per la cura e la protezione personale”, tra cui, per esempio, gli assorbenti igienici per l'incontinenza. La lista non comprende alcun contraccettivo.

Marina Toschi lavora in Umbria, nei consultori di Perugia, Magione e Corciano. “Una piccola città piena di stranieri e due paesi”, dice. “Mi vengono in mente le facce di tante donne magrebine, equadoregne, peruviane, che un anno fa chiedevano 'la pillola che non si paga'. Adesso non la chiedono più. Sanno subito quando un diritto viene meno. Non capiscono il perché, ma si adeguano. E poi le facce di quelle che vorrebbero mettere la spirale medicata al progestinico per non avere ogni mese un'emorragia e l'anemia tutto l'anno, ma non si ritrovano 250 euro in tasca per pagarsela...”

La petizione

Qui tolgo il cappello da giornalista e metto quello da attivista. Grazie all'intraprendenza e all'entusiasmo di Pietro Puzzi e Marina Toschi e in collaborazione con la collega giornalista Eleonora Cirant, abbiamo riunito un gruppo di 25 persone, ginecologi, ostetriche, epidemiologi e giornaliste: il Comitato per la contraccezione gratuita e consapevole, nato con l'intento di fare pressione sull'AIFA e il Ministero della Salute perché garantiscano accesso gratuito ai contraccettivi che rientrano nella lista dei farmaci essenziali stilata dall'OMS e aggiornata nel 2017.



Il 6 dicembre abbiamo lanciato una petizione sulla piattaforma Change.org per raccogliere adesioni da consegnare a Mario Melazzini, Direttore Generale dell'AIFA e a Beatrice Lorenzin, Ministra della Sanità. “Chiediamo a tutta la società civile, cittadine e cittadini, di far sentire la propria voce firmando il nostro appello”, conclude Marina Toschi.