Voglio raccontarvi una storia che ho ascoltato qualche settimana fa a una conferenza stampa sulla procreazione assistita e condividere con voi un po' di dubbi e considerazioni.
La storia
Lei e lui stanno insieme da una vita. Convivono per qualche tempo senza considerare l'idea di mettere su famiglia. Cercano la casa giusta, si sposano. Aspettano un paio d'anni e finalmente si sentono pronti ad avere un figlio. Sono poco più che trentenni.
“Eravamo convinti che avremmo concepito spontaneamente in breve”, racconta lui. “Ma sono passati cinque o sei mesi e la gravidanza non è arrivata. Abbiamo dovuto accettare il fatto di avere un problema”. Un anno dopo i primi tentativi, la coppia si sottopone a una serie di esami. Esito negativo. “La nostra infertilità non aveva causa apparente”, dice lei. “Il ginecologo ci ha consigliato di provare ancora un paio di mesi con tentativi mirati nei giorni fertili, prima di cercare una soluzione medica. Di nuovo, nessun risultato. A questo punto la situazione si è fatta pesante. Ci sentivamo difettosi”.
Frequentano forum e gruppi di persone con problemi di infertilità. Confrontano la propria situazione con quella degli altri. “Abbiamo capito che l'unica era fare ricorso alla procreazione assistita e che avremmo dovuto farlo già da tempo, senza aspettare”, dice lui.
Si rivolgono a un centro per la PMA e il risultato è immediato: lei rimane incinta e nove mesi dopo hanno un bel bimbo tra le braccia. “Ci abbiamo messo tre anni, dai primi tentativi spontanei alla nascita di nostro figlio”, conclude la neomamma felice col suo piccolo in braccio.
Che ne pensate? Mentre ascoltavo e prendevo appunti, a me sono venute in mente un po' di considerazioni.
Aspettative irrealistiche
Come tantissime altre coppie, anche questa prima di cercare una gravidanza ha pensato a rinsaldare il rapporto, garantirsi la sicurezza economica e una casa. La fertilità femminile ha il suo picco massimo intorno ai 20-25 anni, ma i vincoli sociali ed economici di fatto costringono spesso a posticipare. Ognuno sceglie le priorità e i tempi della sua vita e va bene così, a patto, ovviamente, che la scelta sia informata e consapevole.
Quando hanno deciso di mettere in cantiere un figlio, intorno ai trent'anni, i due si aspettavano di riuscire immediatamente nel loro proposito. Evidentemente non avevano ben chiari i meccanismi della fertilità.
Ho chiesto un parere al ginecologo Carlo Flamigni. “Con l'aumentare dell'età, diminuisce la probabilità di concepire a ogni ciclo, pur facendo tentativi mirati nei giorni fertili”, mi ha risposto, “perché si riduce progressivamente la riserva di ovociti disponibili e peggiora la qualità degli stessi ovociti, la loro capacità di dare luogo allo sviluppo di un embrione e impiantarsi correttamente. Se a vent'anni in media occorrono due cicli ovulatori, con tentativi mirati nei giorni giusti, per ottenere la gravidanza desiderata, a trent'anni in media occorrono cinque-sei cicli e a quaranta almeno nove”.
È irrealistico, dunque, aspettarsi di concepire in quattro e quattr'otto a trenta-trentacinque anni.
di Tina Franklin, Flickr |
“Siamo difettosi”
Il comunicato stampa che accompagnava la conferenza definisce l'infertilità come assenza di concepimento dopo un anno di rapporti regolari, indipendentemente dall'età degli aspiranti genitori e indipendentemente dall'esito degli esami a cui lei e lui si sottopongono. Nel caso in questione, gli esami non evidenziano alcun problema, dunque la diagnosi, che c'è già per il solo fatto che è trascorso un anno, si arricchisce di un aggettivo: idiopatica, ovvero senza cause evidenti.
Per la coppia è un duro colpo: passano dall'illusione iniziale di poter avere un figlio nel momento in cui lo desiderano, alla sensazione di essere sbagliati, di essere malfunzionanti. E neppure sanno il perché.
“La diagnosi di infertilità posta dopo un anno di tentativi infruttuosi è una convenzione. C'è chi la pone dopo un anno e mezzo, chi prima”, spiega Flamigni. “Non è una condanna. Non equivale a dire 'questa coppia è sterile e non potrà avere figli senza un intervento medico'. Si tratta piuttosto di un campanello di allarme: potrebbe esserci un problema, dunque è il caso di sottoporsi ad accertamenti per identificare eventuali cause di infertilità. Decidere quanto tempo aspettare prima di far suonare questo campanello è una questione delicata, che va valutata con attenzione. La coppia attempata ha bisogno di più tempo della coppia giovane. Se andasse avanti con tentativi liberi ancora per un anno, magari concepirebbe spontaneamente. D'altra parte, se una coppia non più giovanissima aspetta troppo a lungo senza sottoporsi ad alcun controllo, potrebbe scoprire l'esistenza di un problema quando ormai è tardi e le probabilità di riuscire, anche con la procreazione assistita, sono esigue. Poi c'è la questione degli accertamenti, che a mio parere in Italia non sono abbastanza approfonditi e tanti casi che hanno in effetti una causa diagnosticabile vengono classificati come idiopatici”.
Il lieto fine
Alla fine lei e lui si rivolgono a un centro per la PMA e il risultato è immediato: al primo ciclo, la gravidanza tanto attesa arriva. In tutto, dai primi tentativi spontanei, hanno impiegato tre anni per realizzare il loro desiderio. I neogenitori commentano soddisfatti: è grazie alla PMA che sono riusciti a risolvere il loro problema e se si fossero decisi prima il bimbo sarebbe arrivato già da tempo.
A me il lieto fine non sembra sorprendente, perché la coppia era relativamente giovane e gli esami non avevano evidenziato particolari problemi. Forse in tre anni ci sarebbero riusciti anche senza interventi medici, continuando a provare spontaneamente? Mi pare che in questo caso (e in tanti altri analoghi) si sia instaurato un circolo vizioso informativo. Lei e lui non sanno che a una certa età ci vuole più tempo per concepire. Provano, non hanno immediatamente successo, dunque ritengono di essere infertili e ricorrono alla PMA come intervento necessario per superare l'ostacolo.
Secondo l'editoriale del New Scientist del 23 luglio 2016, questo meccanismo è dovuto in parte ai messaggi ambivalenti che gli specialisti rivolgono al pubblico. Da una parte avvertono che la procreazione assistita non può prolungare la fertilità naturale e non è efficace nel trattamento della subfertilità legata all'avanzare dell'età. D'altra parte, incoraggiano le coppie più avanti con gli anni a rivolgersi ai centri di PMA, alimentando proprio quella convinzione.
“La procreazione assistita è nata per risolvere due problemi: l'ostruzione delle tube nella donna e l'oligospermia nell'uomo”, dice Rossella Nappi, ginecologa del Centro di Ricerca per la PMA della Fondazione San Matteo di Pavia. “Per superare questo tipo di ostacoli, il ricorso alla PMA garantisce di norma buoni risultati, mentre in caso di subfertilità dovuta all'età della donna i risultati sono scarsi, sovrapponibili a quelli che si ottengono con rapporti spontanei”.
Quindi, quale consiglio dare alle coppie che aspirano ad avere un figlio? “Di non indugiare: compiuti i 35 anni di età, la donna che non riesce a concepire entro sei mesi di tentativi liberi dovrebbe immediatamente fare ricorso alla PMA”, risponde la ginecologa. “Aspettare un anno è fin troppo. In Italia le coppie perdono tempo perché non vogliono ammettere un problema, perché riconoscere di essere subfertili o infertili non è piacevole”.
Donne più o meno fertili
Di fronte alla mia perplessità, la ginecologa Lisa Canitano, presidente dell'Associazione Vita di Donna Onlus, spezza una lancia a favore dell'intervento medico precoce. “La durata della vita fertile della donna dipende da vari fattori, il primo dei quali è il suo patrimonio genetico”, mi spiega. “Ci sono donne che a trentasette anni concepiscono spontaneamente senza difficoltà, altre che a trentadue hanno già dei problemi: la loro fertilità sta già declinando rapidamente. Al momento non siamo in grado di distinguere le une dalle altre. Possiamo fare alcuni esami, come il dosaggio nel sangue dell'ormone antimulleriano o un controllo ecografico della riserva ovarica, che ci danno alcune informazioni, ma non possiamo prevedere con certezza la traiettoria della fertilità di una donna o quando andrà in menopausa. È in quest'ottica che le aspiranti mamme devono tenere d'occhio l'orologio e, se impiegano più tempo della media a concepire spontaneamente, rivolgersi allo specialista per programmare dei controlli. Non dico ricorrere subito alla PMA, ma quanto meno fare degli accertamenti. Perché potrebbero avere ancora molto tempo a disposizione per provare, oppure no, e non lo sanno”.
Infertilità in aumento?
Per concludere, vorrei fare un'osservazione sull'ampiezza del “problema infertilità”. Nei comunicati stampa e negli articoli sull'argomento, ricorre un dato, la cui provenienza viene attribuita ora all'OMS, ora al Ministero della Salute italiano: il 15% delle coppie ha difficoltà a concepire. Di solito questo dato è accompagnato dall'avvertimento che “la percentuale è in aumento”.
A parte il fatto che nessun articolo o comunicato cita lo studio da cui proverrebbe questo dato, anche il suo significato è abbastanza confuso: il 15% delle coppie non riesce a concepire dopo un anno di tentativi liberi? Dopo un anno e mezzo? Il 15% è la percentuale di chi fa ricorso alla PMA? E il 15% rispetto a chi: alle coppie che vogliono un figlio? A tutte le coppie? Come si conta il numero di tutte le coppie?
La collega Chiara Palmerini, autrice del libro “Quello che alle mamme non dicono” (Codice, 2015), di recente ha scritto su Focus che “secondo l'ultimo rapporto Sessualità e riproduzione nell'Italia contemporanea, dell'Associazione italiana per gli studi di popolazione, le coppie sterili in senso stretto sono più o meno il 5% del totale, mentre superano il 10% dopo che la donna è oltre i 35 anni, e il 25% se la donna è ultraquarantenne”.
Analogamente, il collega Paolo Magliocco riferisce che il National Health Service britannico stima un tasso di infertilità del 16% sulla popolazione generale, se si prende in esame un anno di tentativi infruttuosi, ma se si considerano due anni il tasso scende all'8%, e considerando tre anni scende ancora leggermente, al 7%.
“Quel che è certo è che il tasso di infertilità non sta aumentando”, dice Carlo Flamigni. “Al contrario, negli ultimi decenni è sensibilmente diminuito, perché tante malattie maschili e femminili che non curate danno come esito la subfertilità o la sterilità, oggi sono facilmente diagnosticabili e curabili. Si fanno meno figli per libera scelta, grazie alla contraccezione, e perché la ricerca della prima gravidanza viene rimandata sempre più nel tempo e col passare del tempo la capacità di concepire cala fisiologicamente”.