sabato 31 gennaio 2015
giovedì 29 gennaio 2015
Allergie: guerra preventiva
Jaro P via Wikimedia Commons |
La malattia allergica in tutte le sue manifestazioni, eczema, asma, rinite, disturbi gastrointestinali, è un male comune soprattutto nei Paesi industrializzati e soprattutto tra i bambini. Chiediamo ad Alessandro Fiocchi, responsabile di Allergologia all'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, che ha coordinato la stesura delle nuove linee guida, che percentuale di bimbi italiani soffre di allergie oggi?
Di quanto è aumentata questa percentuale negli ultimi 20 anni nel nostro Paese?
Quali sono le cause di una simile impennata?
Sono tutti cambiamenti ambientali che da un lato proteggono dal contatto con i microrganismi patogeni e dunque dalle infezioni, ma dall'altro influiscono negativamente sul sistema immunitario predisponendo allo sviluppo delle allergie. Gli studi clinici dimostrano che questa predisposizione può essere almeno in parte corretta mantenendo la varietà e l'equilibrio della flora intestinale, risultato che si ottiene assumendo probiotici, microrganismi viventi, contenuti in molti alimenti comuni, come lo yogurt e il latte fermentato, che modulano la risposta immunitaria.
La loro assunzione, secondo le linee guida, è raccomandata alle donne che aspettano un bimbo ad alto rischio di allergia, perché figlio o fratello di allergici, alle mamme che allattano un bimbo ad alto rischio e agli stessi neonati ad alto rischio, nei primi mesi di vita.
Ma i probiotici non sono tutti uguali. Quali scegliere?
A chi devono rivolgersi, dunque, le future e neomamme per avere l'indicazione del prodotto giusto?
"Devono, anzi, sollecitare il medico curante a informarsi sull'argomento per dare loro le necessarie indicazioni, visto che si tratta di una novità di cui non tutti sono a conoscenza", conclude Fiocchi
domenica 25 gennaio 2015
#gattiniperlascienza 9
Detergenti e cosmetici che contengono glutine, compresi dentifrici e rossetti, che entrano in contatto con la pelle o le mucose della bocca non costituiscono un pericolo per la salute di chi è affetto da celiachia.
L'eventuale minima quantità di rossetto o dentifricio ingerita accidentalmente non è sufficiente a provocare danni.
Maggiori informazioni sul sito dell'Associazione Italiana Celiachia.
L'eventuale minima quantità di rossetto o dentifricio ingerita accidentalmente non è sufficiente a provocare danni.
Maggiori informazioni sul sito dell'Associazione Italiana Celiachia.
venerdì 23 gennaio 2015
9 regole per la neve sicura
SkiHoodoo via Wikimedia Commons
Ecco 9 regole stilate dagli specialisti dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma per garantire un divertimento sano e sicuro ai bimbi sulla neve.
1- Sci ai piedi non prima dei 4 anni
2- Una visita di controllo dal pediatra prima della partenza per avere il suo ok, anche se non c'è obbligo di certificato medico per sciare, a meno di attività agonistica
3- Casco in testa quando si scia
4- Iscrivere il bambino a una scuola di sci. I maestri sono preparati per insegnare ai piccoli, meglio che siano loro a farlo, piuttosto che i genitori, per quanto siano bravi sciatori
5- Colazione ricca di zuccheri prima di andare in pista
6- Cinque minuti di riscaldamento e stretching prima di mettere gli sci ai piedi
7- Occhi protetti da occhiali da sole dotati di filtro anti UVA e UVB. Meglio acquistarli dell'ottico o in farmacia per essere certi della qualità
8- Usare una crema ad elevato indice di protezione solare anche se il cielo è nuvoloso, da applicare più volte al giorno, con particolare attenzione al contorno occhi, naso e labbra
9- I bimbi che soffrono di asma possono avere un peggioramento a causa dell'aria fredda, dello sforzo fisico e dell'altitudine. Consultare il pediatra per indicazioni specifiche.
martedì 13 gennaio 2015
Diventare mamma dopo un tumore
Marina aveva 28 anni, un lavoro, un
compagno, una normale vita piena di impegni, quando le hanno
diagnosticato il tumore al seno. “Improvvisamente tutto è sparito
in un buco nero”, racconta. “Le mie priorità, i miei desideri...
tutto ingoiato dalla malattia. Ho fatto esami, biopsie, l'intervento,
la radio e la chemio”.
Da principio, non le è venuto in mente
di chiedere se le terapie potevano compromettere la sua fertilità,
se dopo avrebbe ancora potuto diventare mamma. “Il mio unico
pensiero era salvare la pelle, arrivarci, al dopo”, dice Marina.
“Non mi sono informata, non ho chiesto e nessuno mi ha detto
nulla”.
Durante la chemio il ciclo si è
interrotto e, a distanza di due anni dalla fine delle terapie, non è
ancora ripartito. “Ora che mi sento più tranquilla, che la grande
paura è passata, mi chiedo se tornerò fertile, se potrò cercare
una gravidanza spontanea, se dovrò fare ricorso alla PMA”, si
interroga.
Un problema di tante
Sono sempre più numerose le donne che
affrontano la questione della maternità dopo un cancro, perché sono
in aumento le diagnosi in età fertile di alcuni tipi di tumore,
perché la ricerca della prima gravidanza si è spostata in avanti e
perché migliorano progressivamente le prospettive di guarigione.
“Ogni anno 5.000 donne nel nostro
Paese devono confrontarsi con un tumore quando potrebbero ancora
diventare madri”, spiega Elisabetta Iannelli, segretaria della
Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia.
Il cancro al seno e i linfomi
rappresentano il 60% dei tumori diagnosticati sotto i 40 anni e nella
maggior parte dei casi vengono trattati con chemioterapia
potenzialmente tossica per la funzione ovarica. Ogni anno, dunque,
sono circa 3.000 le donne a rischio di menopausa precoce a causa di
una terapia antineoplastica. “Dai dati della letteratura si evince
che la metà, circa 1.500, è interessata a preservare la propria
fertilità”, dice Fedro Peccatori, direttore dell'Unità di
Fertilità e Procreazione dell'Istituto Europeo di Oncologia.
La risposta del Servizio Sanitario
Nazionale a questa esigenza per il momento è insufficiente. “Non
sono stati definiti percorsi clinico assistenziali dedicati,
l'informazione alle dirette interessate è carente e i farmaci
necessari per preservare la fertilità sono interamente a carico
delle pazienti”, osserva Iannelli.
Rhoda Baer via Wikimedia Commons |
Le cause dell'infertilità
Tutti
i trattamenti antitumorali possono compromettere la fertilità
femminile, temporaneamente o definitivamente. Se la malattia
coinvolge l'apparato genitale, l'intervento chirurgico di rimozione
del tumore può comportare la perdita o la riduzione della capacità
riproduttiva e l'irradiazione dell'addome può danneggiare l'utero o
le ovaie.
Inoltre,
in qualunque sede sia localizzato il tumore, la chemioterapia può
indurre menopausa precoce. “Il rischio di sterilità dipende da
diversi fattori: età della donna, lunghezza del trattamento e
scelta dei farmaci”, spiega Fedro Peccatori. “Quelli a maggior
rischio sono i regimi di chemio che contengono i farmaci della classe
degli alchilanti, come la ciclofosfamide il melphalan e il busulfano.
Anche altri farmaci sono potenzialmente tossici, ad esempio le
antracicline e i taxani”.
Infine, l'ormonoterapia, utilizzata nel
trattamento di alcuni tipi di tumore della mammella, quelli sensibili
all'azione del progesterone o degli ormoni estrogeni, comporta
anch'essa un rischio di infertilità, sebbene inferiore a quello
della chemio.
Due possibili approcci
Due sono i possibili approcci per
preservare la fertilità in vista di un trattamento chemioterapico.
“La raccolta di ovociti e la loro crioconservazione per un
successivo utilizzo, e la somministrazione di farmaci che proteggono
le ovaie durante la terapia”, dice Peccatori. “Entrambe le
tecniche possono essere applicate alla stessa paziente e il tasso di
successo è relativamente elevato”.
Il congelamento degli ovociti offre il
30% di probabilità di diventare madre dopo la guarigione, ma non
sempre è praticabile, perché la stimolazione ovarica e la raccolta
di cellule richiedono non meno di dieci giorni e a volte non si può
aspettare, non si può ritardare l'avvio del trattamento
antitumorale. “Di solito si preferisce eseguire la stimolazione
dopo avere rimosso chirurgicamente la neoplasia”, prosegue
Peccatori. “Le più recenti evidenze confermano che non c'è un
rischio aumentato di recidiva se la paziente si sottopone a
stimolazione ovarica e crioconservazione ovocitaria anche in presenza
di neoplasie ormonosensibili. In questo caso si usano regimi di
stimolazione adattati”.
I farmaci che proteggono le ovaie
durante la chemioterapia sono gli LHRH analoghi, che annullano la
produzione di estrogeni, inibiscono l'attività ovarica e così
facendo rendono i follicoli meno sensibili all'azione dannosa dei
chemioterapici. “I dati della letteratura dimostrano una protezione
che va dal 17 al 60% di riduzione del rischio di amenorrea”,
puntualizza Peccatori.
Tom e Katrien via Wikimedia Commons |
Le carenze del servizio sanitario
La difficoltà maggiore a cui vanno
incontro oggi le donne che desiderano preservare la propria fertilità
durante un trattamento antitumorale è il costo dei farmaci
necessari, che è interamente a carico della paziente.
“Gli LHRH analoghi sono indicati per
il trattamento del tumore mammario endocrinoresponsivo in
premenopausa, della pubertà precoce, dei fibromi e
dall'endometriosi”, spiega Peccatori. “Tra le indicazioni non
figura la protezione delle ovaie durante la chemioterapia, dunque il
farmaco non è rimborsabile per questo utilizzo e la richiesta di
nuova indicazione da parte dell'industria è una pratica complicata e
costosa. A fronte di un vantaggio economico non elevato, le aziende
non hanno interesse ad ampliare l'indicazione”.
Lo stesso problema riguarda i farmaci
utilizzati per stimolare la produzione di ovociti da crioconservare.
“La loro prescrizione è gratuita per le coppie infertili, tuttavia
formalmente le pazienti oncologiche non sono infertili nel momento in
cui accedono alla crioconservazione, perché non hanno ancora
iniziato i trattamenti gonadotossici”, spiega Elisabetta Iannelli
della FAVO. “Non essendo formalmente infertili, non possono
accedere alla prescrizione attraverso il Servizio Sanitario
Nazionale, per questo devono pagare i farmaci”.
La FAVO e altre associazioni di
pazienti e famigliari chiedono di applicare a questi medicinali la
legge 648/96, che consente di erogare a carico del Servizio Sanitario
Nazionale farmaci da impiegare per una indicazione terapeutica
diversa da quella autorizzata, previo parere favorevole della
Commissione consultiva Tecnico Scientifica dell’AIFA.
“Chiediamo inoltre di aggiungere ai
fogli illustrativi dei farmaci antitumorali gonadotossici gli
eventuali effetti nocivi sulla fertilità futura, in modo che i
pazienti ne siano informati in
modo semplice e diretto e stimolati a
chiedere maggiori chiarimenti ai medici di riferimento”, dice
Iannelli.
Quello dell'informazione è un aspetto
cruciale della questione. “Non sempre alle donne che ricevono una
diagnosi di tumore in età fertile viene prospettata la possibilità
di preservare la fertilità, non dappertutto”, osserva Peccatori.
“Ci sono centri dove la sensibilità è maggiore e il tasso di
informazione è maggiore di altri. Il
problema esiste, e la
soluzione
non può essere lasciata solo alla buona volontà dei singoli. Se
vogliamo dare
significato
alla centralità della paziente nel percorso di cura, non possiamo
dimenticare
l’importanza
della prevenzione della infertilità dovuta ai trattamenti
oncologici”.
L'appello delle associazioni di pazienti per la prevenzione dell'infertilità |
mercoledì 7 gennaio 2015
sabato 3 gennaio 2015
#gattiniperlascienza 7
Il rischio che il nascituro sviluppi un difetto del tubo neurale, come la spina bifida, la labiopalatoschisi o l'anencefalia, può essere drasticamente abbattuto assumendo una dose quotidiana da 0,4 milligrammi di acido folico per un mese almeno prima del concepimento e per tutto il primo trimestre di gravidanza.
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