|
Evan-Amos via Wikimedia Common |
Dare alla luce un bimbo tra le mura di casa propria non è certo una novità: si fa così in tante parti del mondo e, fino a pochi decenni fa, si faceva così d'abitudine anche in Italia. Il che, naturalmente, non la rende di per sé una pratica raccomandabile. Nei Paesi in via di sviluppo gran parte delle donne partorisce in casa per l'impossibilità di accedere a strutture mediche, senza assistenza qualificata, in condizioni igieniche inadeguate e tante ne muoiono. Quando anche in Italia tutti o quasi nascevano così, la mortalità materna e quella infantile erano ben più alte delle attuali.
Oggi, però, nel nostro Paese abbiamo le risorse per garantire a ogni nascita le massime condizioni di sicurezza, tanto è vero che morire di parto è diventata un'eventualità rara.
Partorire in casa non è più una necessità: è una scelta, un'opzione a cui la futura mamma può ricorrere,
quando le circostanze lo consentono, valutando rischi e benefici per sé e per il nascituro. In Italia sono tra le mille e le duemila le donne che ogni anno fanno questa scelta. Circa mille all'anno si rivolgono alle professioniste di "Nascere in Casa", l'
Associazione Nazionale Ostetriche Parto a Domicilio e Casa Maternità. Più o meno altrettante, ma il dato non è certo, si rivolgono a ostetriche che non aderiscono all'Associazione.
Negli ultimi mesi c'è stato gran fermento su questo tema. Il 6 giugno ricorreva la Giornata Internazionale del Parto in Casa, celebrata con tante iniziative in tutta Italia. Di recente, poi, la Regione Lazio ha disposto un rimborso di 800 euro a parziale copertura delle spese per le donne che scelgono di partorire a domicilio, decisione che è stata criticata dalla
Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia. "Il parto in casa è una procedura difficile da gestire, che non rispetta i
moderni requisiti di sicurezza e non risponde neanche a una logica
economica. La decisione di alcune Regioni italiane, ultimo il Lazio, di
sostenere questa scelta di coppia con un rimborso spese non ha basi
scientifiche e può portare a situazioni pericolose", ha dichiarato
Paolo Scollo, presidente della SIGO, in un comunicato.
|
Paolo Scollo, presidente della SIGO |
"Sostenere che il parto in casa è pericoloso è come sostenere che andare in bicicletta è pericoloso", ribatte
Marta Campiotti, ostetrica di Varese e presidente di Nascere in Casa. "È vero se non sei capace di andarci, se non metti il caschetto, se passi col rosso e stai in mezzo alla strada. Il parto non è una malattia, è una normale attività della vita, ma richiede sempre un sostegno e un accompagnamento, una vigilanza competente, fornita dall'ostetrica. Talvolta richiede un intervento specializzato, fornito dal medico. L'assistenza ostetrica si basa sul concetto della selezione del rischio: in questa casa, in questo ospedale, con questa donna, in queste condizioni, il parto è a basso, medio o alto rischio? Operiamo di conseguenza, sempre nella massima sicurezza possibile".
Secondo Paolo Scollo, però,
non esiste un parto a basso rischio. "Una gravidanza può essere a basso rischio se il suo andamento è fisiologico", osserva il ginecologo, "ma il parto non è concluso fino all'espulsione della placenta e fino a quel momento non si può prevedere con certezza che si svolgerà senza inconvenienti o complicazioni. Le emergenze possono presentarsi anche nel corso di un travaglio e di un parto che erano inizialmente considerati a basso rischio. Si pensi al caso del prolasso del funicolo: il cordone ombelicale rimane schiacciato tra la testa del nascituro e le ossa del bacino materno e il bambino smette di ricevere ossigeno. In una situazione del genere, è necessario un intervento immediato, nell'arco di pochi minuti. Non si possono attendere i tempi del trasferimento in ospedale".
Le ostetriche di Nascere a Casa assistono un parto a domicilio solo se il più vicino ospedale è raggiungibile in un tempo massimo di trenta minuti e preavvertono l'ospedale in questione all'inizio del travaglio. Trenta minuti sono sufficienti per un eventuale intervento di emergenza? "La selezione che noi operiamo sulle donne che assistiamo è dinamica", risponde Campiotti. "Ciò significa che optiamo per il trasferimento in ospedale non appena abbiamo la percezione che le condizioni da fisiologiche stanno virando verso il patologico.
Non aspettiamo l'emergenza. È rarissimo che una complicazione si manifesti improvvisamente, senza alcun segnale. La nostra esperienza e la nostra continua formazione ci consentono di individuare i segnali e agire di conseguenza. Il caso specifico del prolasso del funicolo si è verificato l'anno scorso a due colleghe nostre associate. Con la manovra ostetrica prevista in queste circostanze hanno messo in sicurezza madre e figlio e nel frattempo si sono spostate in ospedale, dove il parto si è concluso senza problemi. Non consideriamo lo spostamento in ospedale come un fallimento del parto in casa, ma come uno dei possibili esiti, da mettere in atto se necessario".
|
Marta Campiotti con l'ostetrico e ginecologo Frédérick Leboyer | |
|
Un'altra obiezione dei ginecologi della SIGO riguarda le
condizioni igieniche dell'ambiente in cui la donna da alla luce il suo bimbo. "In ospedale il personale, gli strumenti e i locali vengono sottoposti a controlli periodici", dice Scollo. "A casa non è possibile garantire condizioni di sterilità e il rischio di infezioni sia per la madre che per il bambino è inevitabilmente più elevato".
"Non siamo più nell'ottocento, quando si partoriva in case sporche e la bollitura dei panni era l'unica misura disponibile per limitare il rischio di infezioni", risponde Campiotti. "I nostri strumenti sono sterili e le condizioni igieniche della casa sono sempre adeguate. Neppure la sala parto in ospedale è un ambiente sterile, perché il parto non richiede sterilità, escludendo ovviamente la sala operatoria per i cesarei, ma quella è una situazione diversa".
L'impegno della SIGO va in direzione diametralmente opposta a quella dei parti a domicilio. "La nostra Società si batte per la
chiusura dei piccoli punti nascita, quelli da meno di 500 parti all'anno, perché non offrono sufficienti garanzie di sicurezza", spiega Scollo. "I grandi centri nascita dispongono delle risorse e del personale preparato ed esperto per affrontare le emergenze e offrono quindi maggiore sicurezza. Bisognerebbe andare in questa direzione invece di incentivare e investire denaro nel parto a casa. L'eccesso di medicalizzazione e il ricorso immotivato al cesareo, fattori che spingono alcune donne a considerare l'idea del parto a domicilio, sono problemi che affliggono soprattutto le piccole strutture. Non essendo attrezzato per le emergenze, il personale di questi centri spesso programma interventi medici innecessari a scopo preventivo. In un grande ospedale c'è posto anche per il parto fisiologico, in ambienti non medicalizzati, con l'assistenza esclusiva dell'ostetrica. Alla porta accanto, però, c'è la sala operatoria e il ginecologo pronto a intervenire entro pochi minuti in caso di emergenza".
"Noi ostetriche siamo ovviamente d'accordo sul fatto che gli ospedali debbano garantire la migliore assistenza possibile nei casi di alto e medio rischio. La qualità dell'assistenza ospedaliera al bisogno è garanzia necessaria per l'assistenza a domicilio in sicurezza", risponde Marta Campiotti. "
Il parto a casa, limitato alle condizioni di basso rischio, è una cosa diversa, ma non c'è contrapposizione tra noi e il personale ospedaliero. Quello che spesso manca nelle grandi strutture è il forte legame di fiducia che si crea con l'ostetrica di riferimento, che ha seguito la gravidanza, e poi l'intimità, la possibilità di vivere la nascita come un evento naturale, un momento della vita".
In altri Paesi europei la pratica di dare alla luce un bambino tra le mura domestiche è più diffusa rispetto all'Italia.
In Olanda, per esempio, vi fa ricorso il 30% delle partorienti. "Va detto, però, che in Olanda un'elevata percentuale di parti inizia a casa e si conclude in ospedale", osserva Paolo Scollo, "per il manifestarsi di complicanze che rendono necessario l'intervento del ginecologo".
"Ripeto che non considero il trasferimento in ospedale come un fallimento del parto a casa", risponde l'ostetrica. "Si sceglie l'ambiente domestico se la donna lo preferisce e fintanto che sussistono le condizioni di sicurezza per farlo. Quando le condizioni cambiano, ci si sposta. Per il momento non sono disponibili
statistiche sull'esito dei parti a domicilio in Italia, perché la casistica è limitata. La nostra associazione, però, sta lavorando in collaborazione con l'
Istituto Mario Negri di Milano proprio a questo scopo e contiamo che i dati relativi alla nostra esperienza siano disponibili entro la fine dell'anno".
Le linee guida dell'Associazione Nazionale Ostetriche Parto a Domicilio e Casa Maternità, che indicano le condizioni necessarie perché questa opzione sia praticabile, sono disponibili
qui. "Le linee guida sono delle indicazioni, non un testo di legge che autorizza e vieta", puntualizza Marta Campiotti. "Ogni libera professionista risponde del suo operato e, talvolta, valutando criteri oggettivi e soggettivi, si decide di assistere anche situazioni cosiddette borderline. L'ostetricia non è una scienza esatta, lo posso affermare dopo trent'anni di esperienza".