Nelle
prime ore di vita è meglio allontanare dalla madre il bambino,
benché sano e nato a termine, e affidarlo alle cure del personale
sanitario, per tenere sotto controllo le sue condizioni di salute e
prevenire eventi avversi, improbabili ma sempre possibili.
Nella
prima parte di questo post ho riportato le critiche mosse da medici, ostetriche e
consulenti per l'allattamento a questa controversa affermazione,
contenuta in un documento pubblicato dalla Società Italiana di
Neonatologia.
Il calo fisiologico e
l'aggiunta
Per esempio, si legge nel documento che
“il calo di peso nei primi giorni di vita fino al 10% del peso di
nascita è assolutamente fisiologico e non deve destare
preoccupazione”.
Poco più avanti viene detto, però:
“Se il calo è tra il 7% e il 10% si integra l’allattamento al
seno con latte artificiale (aggiunta di latte dopo la poppata al
seno) in modo da garantire al neonato l’apporto adeguato, si
controlla la diuresi (semplice osservazione) e si danno indicazioni
ai genitori sull’alimentazione al seno. Se il calo di peso è
maggiore del 10% si controlla la diuresi con il peso del pannolino,
si eseguono esami ematochimici (natremia e creatininemia) e si
suggerisce un’integrazione alimentare con latte artificiale dopo la
poppata al seno”.
Dunque il calo è fisiologico entro il
10%, ma già al 7% è opportuno intervenire con l'aggiunta di latte
artificiale? “In terza giornata dopo il parto, il calo può
raggiungere il 10%”, spiega Elisabetta D'Amore, coordinatrice
ostetrica di sala parto dell'Ospedale Fatebenefratelli dell'Isola
Tiberina di Roma. “Se la soglia viene superata, bisogna
comprenderne le ragioni: forse c'è qualcosa che non va nelle
modalità di attacco al seno, forse le poppate non sono abbastanza
frequenti. Solo se i tentativi di risolvere il problema non danno
risultati soddisfacenti e il bambino continua a calare di peso o non
lo recupera, si prescrive l'aggiunta, che non deve essere
demonizzata, ma che va prescritta quando ce n'è effettiva
necessità”.
Ho chiesto a Costantino Romagnoli,
presidente della SIN, di chiarire il senso dell'integrazione di latte
artificiale se il calo neonatale è al 7%, dunque ancora entro i
limiti della fisiologia. “È ben noto che un calo fisiologico
superiore al 10% vuol dire che il neonato non ha ricevuto liquidi a
sufficienza”, risponde il neonatologo. “Questo comporta spesso
una contrazione della diuresi (emissione di urine) e un aumento della
concentrazione di sodio e di elettroliti nel sangue che può essere
molto dannosa (convulsioni ipernatriemiche). Chi, come me, lavora in
in un grande ospedale vede molti neonati che vengono ricoverati con
questo problema (la disidratazione, non le convulsioni) perché non
è stato valutato bene l’apporto alimentare o perché
l’allattamento stenta a decollare. Allora da sempre un calo
giornaliero superiore al 5% viene da noi considerato a rischio e
necessita di un controllo alimentare (verificare quanto latte prende
il bambino, controllare la diuresi e il peso) ed integrare con
liquidi l’eventuale carenza. Il limite del 7% è il limite di
allarme per evitare che il neonato superi il 10% del calo totale:
vuol dire assistere meglio la madre nell’allattamento, controllare
più da vicino il neonato in rooming-in ed eventualmente consigliare
integrazioni se necessarie”.
Ancora una volta, dunque, il principio
che anima queste indicazioni è considerare la fisiologia una
condizione a rischio di sfociare nella patologia. “Può accadere
che una donna abbia poco latte, che l'integrazione si riveli
necessaria, ma non è assolutamente la norma. La disidratazione del
neonato non è un evento frequente”, commenta Riccardo Davanzo,
neonatologo dell'Ospedale Burlo Garofolo di Trieste. “Bisogna fare
chiarezza e non agitare spauracchi”.
L'integrazione con latte in formula non
può essere prescritta in via precauzionale, senza reale necessità,
perché non è priva di effetti indesiderati. “È l'inizio di un
circolo vizioso che pregiudica il buon avvio dell'allattamento”,
commenta la Coalizione Italiana per l'Alimentazione dei Neonati e dei
Bambini. Succede che il neonato, saziato dall'aggiunta, riduce la
frequenza delle poppate al seno e le mammelle, senza la giusta
stimolazione, riducono la produzione di latte. Un circolo vizioso,
appunto.
di I Produnis via Wikimedia Commons |
A richiesta, ma non troppo
Parlando ancora di allattamento, il
documento della SIN afferma che “ogni poppata dovrebbe durare in
tutto circa 20-30 minuti (non più di 10-15 minuti per seno)
alternando il seno da cui si inizia”. Allattamento a richiesta,
dunque, ma con l'orologio in mano.
“Ogni neonato ha i suoi tempi, che
sono anche dettati dalla frequenza delle ondate di latte a
disposizione e dalla calibrazione del seno”, risponde la CIANB, “in
più, il neonato si stacca spontaneamente da una mammella quando ha
assunto tutta la quantità di grassi che gli giova; dare tempi per
una poppata e per ogni singola mammella va contro la fisiologia
dell’allattamento”.
Interpellato su questo punto, Romagnoli
risponde così alle critiche. “Chi ha qualche anno sulle spalle, ha
vissuto in passato il tempo delle doppie pesate ed ha potuto
verificare che tale pratica è poco utile e non la consiglia più,
se si attuano gli altri controlli consigliati. Quella pratica però
ci ha insegnato che nei primi 5-10 minuti ad ogni seno il neonato
assume il 95% del latte che assumerà in totale qualunque sia la
durata della poppata”.
Va detto, però, che la composizione
del latte materno non è omogenea nel corso della poppata. “Quello
che il piccolo assume nei primi minuti di suzione è ricco di
zuccheri e povero di grassi, acquoso”, spiega Elisabetta D'Amore.
“Man mano che la mammella si svuota, il liquido si fa più denso e
ricco di grassi, indispensabili per il nutrimento del neonato. I
bimbi che d'abitudine vengono staccati pochi minuti dopo avere
iniziato a mangiare, crescono più lentamente e tendono a cercare più
spesso il seno”.
Riguardo alla frequenza delle poppate
nelle prime settimane di vita, il testo della SIN dice che “è
importante attaccare il neonato al seno appena possibile e
frequentemente nei primi giorni di vita poiché la suzione dal
capezzolo è l’unico stimolo veramente efficace per la produzione
del latte”, ma poi aggiunge: “Il neonato si autoregola
nell’appetito e piange quando ha fame. Questo è certamente vero
quando il colostro iniziale si sarà trasformato in latte maturo
(15-20 giorni dopo il parto), ma fino a quel momento cercare un ritmo
sarà utile per il neonato e per il seno materno. Se si attacca il
neonato al seno ogni 2-3 ore e si cerca di allungare il tempo tra una
poppata e l’altra non c’è dubbio che si facilita l’assunzione
di quantità di latte maggiori perché il seno ha più tempo per
riempirsi. Nello stesso tempo un neonato che mangia quantità sempre
maggiori tende ad assumere un ritmo di poppate inferiori lasciando
alla madre il tempo di recuperare (forze e sonno)”.
Dunque la suzione frequente stimola la
produzione di latte, ma è meglio allungare la distanza tra le
poppate per consentire al seno di riempirsi. I conti non tornano.
“Se è vero che in fase di avvio
dell’allattamento la stimolazione più frequente è utile a
stimolare la produzione di latte”, commenta Costantino Romagnoli,
“una volta avviato l’allattamento il neonato tende ad assumere
più latte ad ogni poppata e questo dilata progressivamente il suo
stomaco che all’inizio è una cavità virtuale. Ora, se il
neonato viene allattato ogni ora, prende poco latte (quello che si
può essere prodotto in un’ora) e mangerà 15-20 volte al giorno.
Questo porta la madre ad un affaticamento che va ad interferire
fisicamente e psicologicamente sull’allattamento futuro. Si pensi
che, oggi, il sentirsi non adeguata all’allattamento è la causa
principale della depressione post-partum”.
Ma se il bambino non succhia
frequentemente, il seno non si riempie. “È un meccanismo naturale
che si è sviluppato nei mammiferi per rallentare o bloccare la
produzione del latte se la richiesta da parte del piccolo diminuisce
o viene a mancare”, spiega Elisabetta D'Amore. “Distanziare
forzatamente le poppate comporta una riduzione della produzione di
latte. Il bambino regola la produzione del latte materno aumentando o
diminuendo la frequenza delle richieste a seconda della quantità di
alimento di cui ha bisogno”.
Infine, si legge nel testo della SIN:
“Bisogna rassicurare le mamme che se si somministra qualche liquido
(acqua, camomilla, tisana) al neonato questo si attaccherà comunque
al seno”.
A che pro somministrare al neonato
acqua, camomilla o tisana, se ricava i liquidi e il nutrimento di cui
ha bisogno dal latte materno? “Se un neonato piange
ininterrottamente, nonostante la madre lo tenga al seno in continuo
(e non è evento poco frequente soprattutto nei primi giorni dopo il
parto per primipare, tagli cesarei, madri con capezzoli introflessi,
neonati di basso peso e late preterm) cosa si proporrà di fare se
non di dare qualche liquido? O sarebbe meglio il latte artificiale?”,
risponde Romagnoli.
“Il neonato che mangia regolarmente,
che bagna 5-6 pannolini al giorno e che cresce secondo fisiologia non
ha bisogno di acqua, camomilla, tisane o di latte in formula”, dice
Elisabetta D'Amore. “Il fatto che pianga frequentemente non vuol
dire che abbia fame o sete. Il pianto è un sintomo aspecifico: può
dipendere da mille motivi. Bisogna piuttosto cercare di capire perché
il piccolo si comporta così. La somministrazione di liquidi in
aggiunta al latte materno nei primi giorni di vita, a meno che non
sia necessaria per ragioni mediche, mette a rischio il buon avvio
dell'allattamento, perché può instaurare nel bambino una falsa
percezione di sazietà e spingerlo a succhiare meno latte”.
Nella prima e nella seconda parte di
questo post ho evidenziato alcuni dei punti più controversi del
documento pubblicato dalla SIN. “Sono certo che queste mie
considerazioni accresceranno le critiche più che rispondere ad
esse”, ha commentato Romagnoli al termine dell'intervista. “Ma la
pratica clinica non è fatta di sentenze e di teorie. La salute
della madre e del bambino la si protegge agendo in sicurezza ed
evitando rischi inutili”.
L'approccio che il presidente della SIN
propone per agire in sicurezza e prevenire rischi inutili non è
condiviso da tutti i suoi colleghi. “Il documento del presidente è
oggetto di discussione sia all'esterno che all'interno della
Società”, dice Davanzo. “La dialettica è accesa. Il dibattito
proseguirà e vedremo a che cosa porterà”.
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