venerdì 31 luglio 2015

Il neonato sano: istruzioni per l'uso? (Prima Parte)

Di che cosa ha bisogno un bimbo sano, nato a termine con parto fisiologico? Del contatto pelle a pelle con la mamma e il rispetto dei suoi tempi, oppure di controlli attenti e procedure mediche per prevenire l'eventualità di un peggioramento delle condizioni di salute, improbabile ma sempre possibile? Di entrambe le cose, ovviamente. Sicurezza e benessere del piccolo sono entrambi obiettivi importanti. Tutto sta nel conciliarli al meglio nelle cure dei primi giorni di vita.
di Ernest F via Wikimedia Commons

La Società Italiana di Neonatologia ha pubblicato sul proprio sito e diffuso alla stampa un documento dal titolo “Genitori e i primi 30 giorni con il bebè”, che raccoglie “i consigli degli esperti su come affrontare nel modo giusto l'arrivo di un bambino”. Il succo del messaggio è: anche al bimbo apparentemente più sano potrebbe accadere improvvisamente qualcosa di brutto. È meglio che di lui si prenda cura il personale sanitario nel nido, piuttosto che la mamma, disattenta perché inesperta e stanca per il travaglio.
Settimana dopo settimana, il documento è rimbalzato sui social media suscitando vivaci polemiche, che sono montate sempre più.

Il nido è più sicuro

Dice il testo della SIN che appena nato, dopo essere stato rapidamente osservato, asciugato e avvolto in un telo, il piccolo viene appoggiato alla mamma. “Una volta in braccio, il bambino può essere attaccato al seno. Si tenga presente che nella prima mezz’ora di vita in genere il neonato è molto attivo, dopodiché segue una fase fisiologica di rilassamento dopo lo stress del parto, in cui è normale che si addormenti. Ecco perché i 20-30 minuti successivi alla nascita sono quelli ideali in cui cominciare ad allattarlo, per stimolare da subito la produzione del latte e favorire il legame mamma-bambino. (…) Nelle 2 ore successive al parto la donna resta in osservazione in una stanza attigua alla sala parto. E il neonato? È probabile che a questo punto si sia già addormentato, per questo è meglio che anche la mamma si rilassi e il bimbo sia portato nel nido, dove può riposare nelle condizioni ed alla temperatura ottimali e dove soprattutto le puericultrici ed il neonatologo possono effettuare periodicamente i controlli di battito e respiro”.
Al contatto pelle a pelle con la mamma e all'avvio dell'allattamento vanno riservati, dunque, i primi 20-30 minuti di vita, dopo di che è meglio che il neonato sia trasferito al nido e affidato alla cura di medici e puericultrici. 

Rispettare i tempi del bambino e della mamma

La Coalizione Italiana per l'Alimentazione dei Neonati e dei Bambini, che ha risposto alle dichiarazioni della SIN con una lettera , osserva su questo punto: “Il neonato, proprio perché attivo, esprime in questo momento al massimo i riflessi innati primitivi che, assieme alle sue competenze neuro-motorie, gli permettono di cercare e trovare, con tempi e modi soggettivamente variabili, la mammella della mamma e di attaccarsi spontaneamente al seno. Alcuni neonati ci riescono in 20-30 minuti, altri necessitano di un tempo superiore (fino a 2 ore), in media ci vogliono almeno 60 minuti o poco più. Questa fase e il contatto pelle a pelle non dovrebbero essere interrotti fino al completamento della prima poppata e, comunque, fino a quando la mamma lo desidera”.
Ho chiesto a Costantino Romagnoli, presidente della SIN, un commento sulle critiche espresse. “Cerchiamo di capire il senso di quanto detto”, risponde il neonatologo. “Innanzitutto la SIN da sempre sostiene l'importanza del contatto pelle a pelle e su questo è impegnata quotidianamente. È fisiologico che il neonato, dopo la nascita, abbia un periodo di circa 30 minuti di attività e poi dorme per circa 2 ore. La madre dopo il parto è nella maggior parte dei casi provata, specie le primipare e dopo un travaglio lungo. È bellissimo vedere il bimbo che dorme sulla madre dormiente o sonnecchiante. C’è solo un problema: come controllare che il bimbo stia bene. È ben noto che esista il neonatal collapse (la letteratura è piena di segnalazioni) e che molti centri (vedi Burlo Garofolo di Trieste) hanno instaurato un sistema di controllo nelle due-tre ore successive al parto con personale dedicato. Punti nascita con oltre 3000 nati all'anno non hanno dotazioni tecnologiche e di personale atte a tale tipo di controllo: allora cosa si fa? Ci si affida al caso o al destino? Non mi sembra la pratica migliore per la sicurezza del neonato”.

di Bonnie U Gruenberg via Wikimedia Commons


Il collasso neonatale

Il neonatal collapse a cui Romagnoli fa riferimento è un'evenienza rara (da 2,6 a 38 casi ogni 100.000 nati in Europa) che si verifica in prevalenza nelle prime 72 ore di vita, analoga alla SIDS, la morte in culla. Le cause sono ancora per lo più sconosciute, ma l'esito fatale può essere prevenuto tenendo sotto controllo i parametri vitali del neonato per intervenire tempestivamente in caso di alterazioni. Visto che il presidente della SIN ha chiamato in causa sull'argomento l'Ospedale Burlo Garofolo di Trieste, ho interpellato Riccardo Davanzo, neonatologo responsabile del servizio di rooming in e nido dell'ospedale triestino.
“Il collasso neonatale è un rischio reale, che non deve essere trascurato”, dice Davanzo, “ma non è giusto agitarlo come uno spauracchio per giustificare pratiche che non incoraggiano il contatto pelle a pelle tra la madre e il bambino e l'avvio precoce dell'allattamento. Il contatto con la mamma, precoce e prolungato, fa bene al neonato. Non è ideologia. Si sa, è dimostrato, i suoi benefici per la salute di entrambi sono dati di fatto ormai incontestabili. Per la sicurezza del bambino è necessario controllare periodicamente i suoi parametri vitali, ma per farlo non occorre tenerlo lontano dalla mamma. È sufficiente organizzarsi e seguire dei criteri adeguati. Non è una missione impossibile: da noi e altrove si fa così. Il documento del presidente della SIN descrive le pratiche messe in atto in alcuni ospedali italiani, non tutti, e di certo non descrive le modalità ideali di cure del neonato. Se l'organizzazione di alcune strutture impone dei limiti, questo non sia un alibi per far passare come ideale quel che ideale non è”.

Leggi qui la seconda parte dell'articolo. L'allattamento al seno, il calo fisiologico, le aggiunte di latte artificiale, orari e durata delle poppate secondo il documento della SIN. Le critiche della Coalizione Italiana per l'Alimentazione dei Neonati e dei Bambini, i commenti di Riccardo Davanzo e di Elisabetta D'Amore, coordinatrice ostetrica della sala parto dell'Ospedale Fatebenefratelli di Roma.

lunedì 16 marzo 2015

Il pupo mi mangia poco!


I, Ravedave via Wikimedia Commons


Ma come fa il mio bambino a consumare tanta energia se mangia così poco? È una domanda che si pongono tanti genitori davanti al pupo che avanza la pappa nel piatto e poi corre e salta instancabile tutto il giorno.
Ce lo chiediamo soprattutto noi genitori italiani, che per cultura dedichiamo più attenzione al cibo, ma se lo chiedono, evidentemente, anche i genitori britannici, se persino il settimanale New Scientist ha dedicato alla questione una puntata della rubrica The Last Word on Energy.
Poiché anch'io mi sono posta a lungo il problema di fronte agli ostinati rifiuti di mia figlia davanti al cucchiaino, ho cercato un esperto che mi rispondesse e ho girato la domanda a Francesco Chiarelli, direttore della Clinica Pediatrica dell'Università di Chieti e presidente della Società Europea di Endocrinologia Pediatrica.
"I bambini sono portati spontaneamente a nutrirsi secondo le proprie necessità: se hanno fame mangiano, quando sono sazi smettono di mangiare", osserva Chiarelli. "Crescendo subiscono le pressioni dei genitori ansiosi, delle pubblicità delle merendine in tv, dei coetanei, e la loro capacità di autoregolarsi viene sopraffatta. Ecco perché in Italia, come del resto in tutti i Paesi ricchi, tanti bimbi sono in sovrappeso o francamente obesi. I piccoli normopeso spiccano tra tanti paffutelli e sembrano sottopeso. Mamma e papà li vedono 'così magri', si preoccupano e insistono ancora di più perché finiscano la pappa nel piatto. Il cibo che il bimbo mangia spontaneamente, senza forzature, fino a sentirsi sazio è né più né meno quello che gli occorre per soddisfare il proprio fabbisogno di energia".
Ci sono bimbi che a parità di peso e di attività fisica consumano di più e bimbi che consumano di meno? "Certamente", risponde il pediatra. "Le tabelle dei nutrizionisti, che indicano porzioni ottimali in base all'età, fanno riferimento a dei valori medi. Per esempio, un bambino di otto anni ha bisogno di circa 1.800 calorie al giorno, ma ciò non vuol dire che tutti i bambini di otto anni dovrebbero consumare esattamente 1.800 calorie al giorno. C'è quello a cui ne bastano 1.600 e quello a cui ne servono 2.000".
Quindi se un bambino che mangia poco è in buone condizioni di salute e gioca e corre instancabile tutto il giorno, vuol dire che va bene così? La sua alimentazione è adeguata? "Ci sono casi in cui un bimbo mangia pochissimo ed è sottopeso perché è malato", dice Chiarelli. "Per esempio, è quello che accade ai piccoli che hanno una celiachia non diagnosticata, oppure una malattia infiammatoria cronica dell'intestino, ma sono bambini sofferenti, che hanno anche altri sintomi. E la loro condizione non sfugge alla visita di controllo del pediatra. Se il bimbo sta bene, non lamenta sintomi ed è carico di energia, non c'è nulla di cui preoccuparsi".

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Neonati d'inverno: 8 mosse per proteggerli

Andrew Vargas viaWikimedia Commons
È arrivato il freddo e, soprattutto è arrivata la stagione delle infezioni respiratorie. La Società Italiana di Neonatologia ci ricorda che i neonati sono particolarmente vulnerabili alle complicanze delle più banali infezioni. A poche settimane di vita, un raffreddore può aprire le porte a una bronchiolite e la gastroenterite può provocare disidratazione. Maggiore attenzione richiedono i più piccoli, nati prima del termine, che hanno difese immunitarie basse perché la mamma non ha fatto in tempo a trasmettere loro i suoi anticorpi attraverso la placenta.
Ecco otto mosse suggerite dagli specialisti della SIP per proteggere i bimbi dal rischio dei malanni di stagione e dai rigori invernali.

1. Allattarli al seno. Attraverso il latte, la mamma passa al bambino le immunolobuline IgA, che proteggono il suo intestino dai batteri patogeni, e la lattoferrina, che rafforza le difese immunitarie.

2. Vaccinarsi contro l'influenza. Il bambino non può essere vaccinato prima dei 6 mesi. Se i genitori e i nonni si vaccinano, formano uno scudo protettivo intorno a lui.

3. Evitare i luoghi chiusi affollati dove è probabile entrare in contatto con persone infette.

4. Lavarsi le mani con il sapone prima di toccare il bimbo.

5. Passeggiare all'aria aperta ed esporre al sole il bambino per favorire la produzione di vitamina D, che svolge un ruolo importante nel funzionamento del sistema immunitario.

6.  All'aperto, coprire adeguatamente il neonato. Né troppo, né troppo poco. Mettergli il cappellino quando fa freddo, perché i bimbi hanno la testa grande e spesso priva di capelli che disperde facilmente il calore.

7. In casa, moderare il riscaldamento per evitare sbalzi di temperatura rispetto all'esterno e perché una stanza surriscandata è un fattore di rischio per la sindrome della morte in culla.

8. Non imporre ai più piccoli il fumo passivo: infiamma le loro vie respitatorie e favorisce infezioni e allergie.