Sean McGrath via Wikimedia Commons |
Ne hanno parlato di recente gli specialisti della Società Italiana di Endoscopia Ginecologica, della Società Italiana di Fertilità e Sterilità e della Società Italiana Ospedaliera Sterilità, riuniti a Maratea dal 2 al 4 ottobre.
"La legge 40 stabilisce che la PMA sia il punto di arrivo di un percorso diagnostico e di cura", osserva Sergio Schettini, presidente della Società Italiana di Endoscopia Ginecologica e direttore del Centro PMA dell'AO San Carlo di Potenza. "Ma non ci voleva certo una legge dello Stato per indicare ai medici quello che già prescrive la buona pratica clinica. Quando una coppia non riesce a concepire, sono tante le variabili in gioco di cui tenere conto. Prime tra tutte l'età dell'aspirante madre, il suo indice di massa corporea, stato di salute generale e assunzione di farmaci, pregressi interventi chirurgici, la sua riserva ovarica. È importante diagnosticare con la massima precisione possibile la patologia responsabile della sterilità, perché talvolta è possibile risolvere il problema con approcci diversi dalla fecondazione assistita: una terapia farmacologica oppure un intervento chirurgico che rendono possibile poi il concepimento spontaneo".
Anche nel caso in cui la valutazione del medico indirizzi la coppia verso la PMA, avere un quadro dettagliato della situazione fa la differenza quanto a probabilità di riuscita e rischio di complicanze. "Età della donna e riserva ovarica, per esempio, influiscono sulla programmazione dei tempi per il trattamento", spiega Schettini, "ma anche sulla scelta dei farmaci per la stimolazione e sul dosaggio. Negli ultimi anni in Italia le tecniche di procreazione assistita si sono sempre più affinate in tal senso. Inoltre, valutare con attenzione tutte le variabili in gioco permette al medico di informare correttamente la coppia sulle probabilità di successo, perché non sempre l'obiettivo è raggiungibile e non è eticamente onesto illudere gli aspiranti genitori".
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