lunedì 16 giugno 2014

Ho donato i miei ovociti: la storia di Alessandra (Terza Parte)

Ernest F attraverso Wikimedia Commons
Nella prima e seconda parte di questa storia, Alessandra, italiana residente in Spagna, ha raccontato in quali circostanze e per quali ragioni ha preso la decisione di donare i propri ovociti per interventi di fecondazione eterologa, a quali esami è stata sottoposta e come si è svolta la procedura.
"L'idea che dalle cellule che ho donato possano essere nati dei bambini mi piace, mi fa sentire bene", dice la donatrice. "Soprattutto sono soddisfatta al pensiero di avere aiutato altre donne a coronare il proprio desiderio di maternità, ma se penso a quei bambini non li sento come figli miei. Un bambino è figlio di chi lo partorisce e, ancor più, di chi lo cresce. Non è una questione biologica, ma di amore. Ecco perché dico che non sono figli miei e quando un giorno avrò dei bambini non nutrirò alcun rimpianto per quelli eventualmente nati dai miei ovociti, non farò alcuna confusione di affetti".

Eugene Ermolovich attraverso Wikimedia Commons
L'anonimato

Alessandra non sa se le gravidanze avviate con i gameti che ha donato siano andate a buon fine né lo saprà mai. La legge spagnola prevede l'anonimato dei donatori di ovociti e spermatozoi. Tra loro, le coppie riceventi e, in seguito, i bambini nati non c'è comunicazione né alcun rapporto parentale o giuridico.
"È una misura a tutela di tutte le parti coinvolte: della donatrice, della coppia che riceve la donazione, dei nati, ma anche di eventuali altri figli della coppia e di eventuali figli della donatrice", commenta Laura Volpini, presidente dell'Associazione Italiana Donazione Altruistica e Gratuita dei Gameti.
In gran parte dei Paesi europei la normativa è orientata in tal senso. "Ma non in tutti", aggiunge l'avvocato Sebastiano Papandrea, legale dell'Associazione. "Per esempio, in Gran Bretagna una volta vigeva l'obbligo dell'anonimato assoluto. Di recente questo paletto è stato rimosso. In Italia la norma di riferimento è la legge 40 che, nonostante vietasse l'eterologa, regolamenta il caso in cui una coppia faccia ricorso a questo tipo di intervento all'estero. Prevede l'anonimato del donatore o della donatrice e stabilisce che tra il donatore e il nato non sussiste alcun legame. Inoltre, nel nostro Paese fa testo sulla questione anche la legge sulla donazione degli organi e dei tessuti, che prevede l'anonimato di chi dona. Non è detto, però, che anche in Italia non si possano in futuro rivedere le regole. Già nel caso delle adozioni è possibile, in determinate circostanze, che un giudice consenta a un figlio di acquisire informazioni sulla madre biologica o a una madre di acquisire informazioni sul figlio. È concepibile, in futuro, un ripensamento in tal senso anche per l'eterologa, con valutazioni fatte dai giudici caso per caso. Quel che è certo è che la coppia che ha fatto consapevolmente ricorso all'eterologa non può in seguito disconoscere la paternità o la maternità sulla base dell'assenza del vincolo biologico. Il nato è protetto. La famiglia entro cui nasce è legalmente la sua famiglia".

Ilya Haykinson attraverso Wikimedia Commons
La "tracciabilità" dei gameti

Anonimato del donatore non significa assenza totale di informazioni sul suo conto. La clinica che ha effettuato il trattamento di fecondazione assistita eterologa mantiene nei propri archivi tutti i dati relativi alla storia medica e agli esami effettuati da chi ha donato ovociti o spermatozoi. "Sono informazioni necessarie per la tutela della salute futura dei nati", dice in ginecologo Andrea Borini, presidente della Società Italiana Fertilità, Sterilità e Medicina della Riproduzione, "e sono a disposizione dei diretti interessati e delle famiglie. Esiste, quindi, una sorta di tracciabilità dei gameti".
I donatori vengono esaminati per escludere le patologie genetiche più comuni, come la fibrosi cistica e l'anemia mediterranea, e le alterazioni cromosomiche ereditarie. "Attenzione, però: ciò non signfica che i bambini nati da fecondazione eterologa siano del tutto esenti dal rischio di malattie ereditarie", spiega Borini. "Allo stato attuale la scienza non è in grado di escludere al 100% il rischio di ereditare una malattia o la predisposizione a una malattia. Il rischio esiste sempre quando si fa un figlio spontaneamente, con fecondazione assistita omologa o eterologa. Non ha alcun senso, dunque, aspettarsi la perfezione, come se la clinica potesse fornire una garanzia di salute".
Similmente, la coppia che fa ricorso all'eterologa non può chiedere alla clinica ovociti o spermatozoi portatori di specifiche caratteristiche, allo scopo di avere un figlio bellissimo o super intelligente. "Non funziona così. Questa è fantascienza", osserva il ginecologo. "Gli operatori scelgono il donatore o la donatrice in modo tale che il figlio abbia a grandi linee caratteristiche fisiche analoghe a quelle dei genitori, come il colore della pelle e dei capelli, ma non si può cercare il donatore che abbia il profilo del naso come quello del futuro padre. I tratti di una persona dipendono da una moltitudine di fattori, genetici e ambientali, e siamo i grado di orientarli solo in minima parte. E il figlio nato da una coppia o anche solamente allevato da una coppia, come accade nelle adozioni, tende a somigliare ai genitori anche se non ne condivide del tutto o per nulla il DNA".

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