domenica 27 luglio 2014

Pidocchi!

thejbird via Wikimedia Commons
Dalla primavera all'autunno, quando il clima è mite, i bambini che frequentano una comunità, che sia la scuola, la ludoteca o il centro estivo, sono esposti al rischio di pediculosi. Benché i pidocchi siano fastidiosi ma non rappresentino una grave minaccia alla salute dei bambini, le infestazioni sono fonte di grande preoccupazione e incertezza per le famiglie. C'è molta confusione in rete e nel passaparola su come vada affrontata la pediculosi e quali trattamenti siano realmente efficaci. In commercio si trovano tantissimi rimedi: insetticidi, prodotti per l'igiene, dispositivi medici, estratti naturali e olii essenziali, senza contare gli approcci tradizionali fai da te.
Per dissipare un po' la nebbia, ho cercato nella Cochrane Library (il caposaldo della medicina basata sull'evidenza) una revisione della letteratura scientifica sull'argomento che indicasse dei dati attendibili. Ho scoperto che l'ultima revisione Cochrane sulla pediculosi risale al 2001 ed è stata ritirata perché ormai datata e inadeguata. Una nuova revisione è in corso di elaborazione. Hans van der Wouden, della Vrije Universiteit di Amsterdam, fa parte del gruppo che la sta redigendo. Mi scrive che il testo dovrebbe essere pubblicato nei prossimi sei mesi. Tratterà dell'efficacia e della tollerabilità dei prodotti in commercio, di tecniche come la ricerca di insetti con l'apposito pettinino o l'eliminazione manuale delle uova, dell'opportunità di bonificare l'ambiente domestico quando c'è un bambino che ha i pidocchi, della possibilità di prevenire l'infestazione.
In attesa del testo, mi ha indicato quella che a suo parere è la revisione più completa già pubblicata sull'efficacia dei prodotti anti-pidocchi: un lavoro di Ian Burgess reperibile su Clinical Evidence 2011; 05:1703
Ecco alcune informazioni ricavate dall'articolo di Burgess.

Dennis D. Juranek via Wikimedia Commons


Per diagnosticare la pediculosi occorre trovare un pidocchio vivo. Non è sufficiente osservare le uova, perché quelle non più vitali sono identiche a quelle vitali e possono permanere sui capelli per settimane dopo che i pidocchi sono stati del tutto eradicati. Le uova che non si schiudono entro una settimana dalla deposizione, sono non vitali.

Non è dimostrata alcuna preferenza dei pidocchi per i capelli puliti o per quelli sporchi, né per quelli lunghi o corti. Se i capelli sono lunghi, però, può essere più difficile diagnosticare la pediculosi.

I più comuni prodotti per l'eliminazione dei pidocchi sono:

I piretroidi, molecole sintetiche analoghe alle piretrine, sostanze contenute nei fiori di crisantemo. I più usati nella lotta alla pediculosi sono la permetrina e la fenotrina.

Il malatione, un insetticida organofosfato che attacca il sistema nervoso dei pidocchi.

Il dimeticone, un fluido idrorepellente a base di silicio. La sua azione non è chimica ma fisica: avvolge l'insetto e lo soffoca.

Il miristato di isopropile, che scioglie lo strato ceroso esterno dell'esoscheletro del pidocchio esponendolo alla disidratazione. Anche in questo caso l'azione è fisica e non chimica.

Lo spinosad, una miscela di due tossine di origine batterica che attaccano il sistema nervoso dei pidocchi.

Dagli studi analizzati da Burgess nella sua revisione emerge che:

-Malatione, dimeticone, miristato di isopropile e spinosad sono più efficaci dei piretroidi.
-Il dimeticone è più efficace del malatione.
-I pidocchi possono sviluppare resistenza a questo o a quell'insetticida, rendendolo di fatto inefficace.
-Non c'è alcuna prova che una miscela di principi attivi differenti sia più efficace del singolo principio attivo.

Inoltre, non esistono studi generali sull'efficacia di olii essenziali o estratti naturali, dal momento che i prodotti di questo tipo in commercio hanno le composizioni e le concentrazioni più varie. L'autore ricorda però che diversi olii essenziali possono essere irritanti per il cuoio capelluto o addirittura tossici.

L'eliminazione meccanica dei pidocchi vivi con l'apposito pettinino a denti fitti è più efficace della rimozione delle uova.



sabato 26 luglio 2014

No al resveratrolo in gravidanza

Anagoria via Wikimedia Commons
Il resveratrolo è una molecola con proprietà antiossidanti e antinfiammatorie contenuta nella buccia degli acini d'uva, nei frutti di bosco e nel cioccolato. Secondo alcuni studi, svolgerebbe un'azione normalizzante dei parametri metabolici e vasodilatatrice, a beneficio della circolazione. Per questa ragione da qualche anno sono disponibili sul mercato e molto diffusi diversi integratori alimentari di resveratrolo.
Un gruppo di ricercatori della Oregon Health & Science University ha scoperto ora che il resveratrolo assunto in gravidanza in dosi farmacologiche (cioè non attraverso il consumo alimentare di uva, frutti di bosco o cioccolata) può interferire con lo sviluppo del pancreas fetale
"Gli autori dello studio, pubblicato sul Federation of American Societies of Experimental Biology Journal, hanno condotto un esperimento su primati non umani in stato di gravidanza, alimentati con una dieta ricca di grassi", spiega Gian Vincenzo Zuccotti, ordinario di pediatria dell'Università di Milano e consulente dell'Associazione per lo Studio delle Malformazioni. "Scopo della ricerca era verificare se il resveratrolo potesse compensare almeno in parte gli effetti negativi sullo sviluppo fetale di un'alimentazione scorretta della futura madre. Stavano cioè indagando su un'eventuale azione positiva della sostanza. Effettivamente, negli animali che hanno ricevuto questa supplementazione è stato osservato un calo ponderale del 30%, una migliore tolleranza allo zucchero, un aumento del flusso sanguigno placentare, ridotta infiammazione placentare e ridotta deposizione di trigliceridi a livello del fegato fetale. Tuttavia, nel corso dello studio, i ricercatori hanno anche evidenziato come la supplementazione con resveratrolo fosse associata ad un inaspettato incremento (di circa il 42%) del volume globale del pancreas fetale. Per questa ragione sconsigliano l'assunzione di integratori di resveratrolo alle donne in gravidanza. Il risultato è importante ma ancora isolato e sono indispensabili ulteriori osservazioni su modello animale per confermarlo o smentirlo. Nell'attesa, la raccomandazione di evitare gli integratori di resveratrolo in gravidanza è condivisibile. In aggiunta, voglio ricordare che in gravidanza bisogna assumere integratori solo se consigliati dal medico e solo nelle specifiche situazioni in cui si identifichino effettivi benefici e non indiscriminatamente, basandosi sul passaparola".

venerdì 25 luglio 2014

Denti sani anche in vacanza

Chrisbwah via Wikimedia Commons
Sole, mare, gelati e bibite zuccherate, tante gite e poche occasioni per lavare i denti dopo mangiato: le vacanze possono mettere a dura prova la salute dei denti dei più piccoli (e anche dei grandi, in verità).
Ecco alcuni consigli utili per mantenere la bocca sana dall'Istituto Stomatologico Italiano di Milano:

Qualche settimana prima di partire è consigliabile prendere appuntamento con il dentista per una visita di controllo, così da lasciare un margine di tempo per eventuali cure necessarie.

Anche in viaggio portare sempre spazzolino e dentifricio e pulire accuratamente i denti dopo ogni pasto. L'igiene orale non va in vacanza!

Ridurre al minimo il consumo di snack dolci e bibite zuccherate fuori dai pasti: favoriscono la proliferazione batterica. In caso, lavare i denti dopo lo spuntino.

Le variazioni della pressione in cabina durante un viaggio aereo possono provocare fastidio alle orecchie ma anche mal di denti. È un disturbo noto come barodontalgia. Può durare tutto il viaggio ed essere accompagnato da vertigini. Sparisce dopo l'atterraggio. In caso di volo di lunga durata, i genitori possono somministrare al piccolo sofferente del paracetamolo, per dargli sollievo.

Infine, in caso di caduta e rottura di un dentino, è necessario rivolgersi al più presto a un dentista e, possibilmente, recuperare il frammento e conservarlo in soluzione fisiologica. Lo specialista potrebbe eventualmente rimetterlo a posto. Per il dolore, paracetamolo.



giovedì 17 luglio 2014

L'incidenza del diabete infantile

Portraitlady4306 via Wikimedia Commons
Tra il primo gennaio 2005 e il 31 dicembre 2010, 2.250 bambini nella fascia d'età da 0 a 4 anni, residenti in Italia, hanno ricevuto una diagnosi di diabete di tipo 1. Il valore medio nazionale del tasso di incidenza in questa fascia d'età risulta pari a 13,4 per 100.000, leggermente più elevato per i maschi che per le femmine e più elevato nell'area meridionale e insulare del Paese rispetto al nord.
I dati sono stati pubblicati dall'Istituto Superiore di Sanità e ricavati dall'analisi delle schede di dimissione ospedaliera.
Il diabete di tipo 1 (altri post qui e qui) è una malattia autoimmune caratterizzata dalla distruzione delle cellule beta del pancreas, responsabili della produzione di insulina. Chi ne soffre non è in grado di produrre l'ormone e deve assumerlo dall'esterno. Spesso insorge nell'infanzia o in età giovanile. Negli ultimi decenni gli epidemiologi hanno evidenziato un aumento dell'incidenza della malattia, soprattutto tra i più piccoli.

martedì 15 luglio 2014

Attenti al caldo: a rischio i più piccoli

Juliancolton via Wikimedia Commons
Fino ad ora l'estate 2014 non è stata afosa come quelle precedenti, ma anche per quest'anno i meteorologi prevedono l'arrivo di ondate di calore che colpiranno soprattutto le città. Il sito del Ministero della Salute offre informazioni utili per gestire il grande caldo e proteggere le categorie a maggior rischio di soffrirne, come gli anziani, i malati cronici e i bambini.
Ecco un riassunto delle raccomandazioni per la salute dei più piccoli.

I bimbi, soprattutto i neonati, hanno una minore capacità di termoregolazione, cioè di regolare la propria temperatura corporea in funzione della temperatura esterna. Inoltre, i bambini non sono in grado di esprimersi chiaramente se prvano disagio a causa del caldo. Per questa ragione sono più vulnerabili degli adulti al rischio di disidratazione o di un colpo di calore.

Non bisogna mai lasciare a lungo un bambino in un ambiente chiuso, scarsamente ventilato ed esposto ai raggi del sole, come una tenda da campeggio o l'abitacolo dell'automobile. 

Bisogna evitare l'esposizione diretta ai raggi del sole di un bambino nelle ore centrali della giornata, dalle 11 alle 18.

All'aria aperta i bimbi devono indossare abiti leggeri, di fibre naturali che favoriscono la traspirazione, cappellini e crema solare sulla cute esposta.

Devono bere molta acqua nel corso della giornata, soprattutto se giocano e fanno attività fisica.

Controllare periodicamente la temperatura corporea dei neonati e dei lattanti (non occorre il termometro, basta controllare al tatto). Se occorre rinfrescarli con una doccia tiepida o panni umidi.

Se un bimbo manifesta nausea, vomito, spossatezza, debolezza muscolare, mal di testa, febbre, labbra e pelle secca, chiamare immediatamente il soccorso medico: potrebbe trattarsi di un colpo di calore.

Infine, il rischio di disidratazione e ipertermia è maggiore se il piccolo ha un'infezione gastrointestinale in corso oppure ha la febbre.

venerdì 11 luglio 2014

Allergie alimentari dei bambini: come gestirle

Nabeel Hyatt attraverso Wikimedia Commons
Oltre 600.000 bambini italiani, tre milioni e mezzo in tutta Europa soffrono di allergie alimentari, disturbi che si possono manifestare fin dalle prime settimane di vita e che, nel 50% dei casi, si risolvono spontaneamente entro il quinto anno di età. L'altra metà dei casi è destinata invece a protrarsi più a lungo, a volte per tutta la vita. "Le allergie all'uovo e al latte vaccino sono quelle che tendono a scomparire prima, mentre quelle alle nocciole, al grano e ai pesci, molluschi e crostacei tendono a perdurare nelle età successive", spiega Roberto Bernardini, presidente della Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica.
Le allergie alimentari possono causare i sintomi più vari: orticaria, angioedema, congiuntivite, rinite, asma bronchiale, dolori addominali, diarrea, vomito, fino al collasso cardiocircolatorio e allo shock anafilattico. "La prima cosa da fare per diagnosticare correttamente il disturbo è analizzare con attenzione i sintomi per identificare un rapporto causa-effetto tra l'assunzione dell'alimento e la comparsa dei sintomi stessi", dice Bernardini. "Esami utili sono i test cutanei, l'analisi del sangue alla ricerca di molecole specifiche e i test di provocazione, cioè la somministrazione controllata dell'alimento sospetto per osservare la reazione".
Eventuali diete di esclusione dell'alimento responsabile dell'allergia devono essere indicate dal pediatra specialista in allergologia, tenendo conto delle esigenze nutritive del piccolo paziente.

martedì 8 luglio 2014

VaccinarSì!

"La salute è come la libertà: ti accorgi di quanto vale solo quando rischi di perderla". Così ha esordito il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin oggi a Roma all'apertura di una conferenza per celebrare un anno di attività del portale istituzionale VaccinarSì.
Oggi nei Paesi industrializzati adulti e bambini sono liberi dalla minaccia di tante malattie infettive gravi, alcune potenzialmente letali, grazie alla pratica delle vaccinazioni di massa. "Proprio il fatto che queste malattie da noi sono state debellate o quasi debellate, fa sì che non le abbiamo più sotto gli occhi e non ricordiamo quanto fossero terribili, quali fossero i danni che arrecavano alla salute", dice il Ministro. "La nostra attenzione si è spostata così sui danni che i vaccini possono arrecare alla salute. Qualunque farmaco comporta il rischio di reazioni avverse, anche i vaccini. La probabilità di una reazione avversa a un vaccino, però, è di gran lunga inferiore alla probabilità di un danno nel caso in cui si contragga una malattia a cui non si è vaccinati. Se abbassiamo la guardia e non vacciniamo i nostri figli per non esporli al rischio dei danni da vaccino, li esponiamo al rischio dei danni da malattia, che è un rischio maggiore. Le malattie di cui parliamo non sono state eradicate a livello mondiale. Esistono ancora, possono ancora raggiungerci. Si pensi alla Siria, dove ancora oggi sono presenti dei focolai di polio. Si pensi a quanta gente in fuga dalla Siria raggiunge l'Italia. Oppure si pensi ai focolai di difterite ancora presenti in alcuni Paesi dell'Europa dell'Est. L'unica difesa della nostra popolazione da questi rischi è la vaccinazione di massa".
Negli ultimi anni le campagne dei movimenti anti-vaccini hanno minato la fiducia di tante famiglie nei confronti dell'utilità delle vaccinazioni. "I risultati si vedono, sono concreti", osserva Michele Conversano, presidente della Società Italiana di Igiene. "La copertura della vaccinazione anti morbillo-parotite-rosolia è calata, in alcuni comuni, anche del 25%. E di pari passo abbiamo registrato un aumento dei casi di morbillo nel nostro Paese".
Non è vero, come sostengono alcune associazioni e movimenti politici, che tagliando l'offerta gratuita dei vaccini ai bambini o limitando l'offerta ai soli vaccini obbligatori lo Stato risparmierebbe denaro. Ecco un dato presentato alla conferenza: negli anni 2002-2003 sono stati registrati in Italia 5.154 casi gravi di morbillo con ricovero ospedaliero, costati al servizio sanitario pubblico 9 milioni di euro. Con la stessa cifra si possono vaccinare 770.000 bambini. Complessivamente, negli stessi anni, i casi gravi e meno gravi di morbillo sono costati alle casse pubbliche 22 milioni di euro, l'equivalente della vaccinazione per 1,9 milioni di bambini.
Il portale VaccinarSì, che ha anche una pagina su Facebook ed è presente su Twitter, offre informazioni chiare, documentate e affidabili su rischi e benefici delle vaccinazioni, sulle malattie infettive che le vaccinazioni prevengono, su indicazioni e controindicazioni. Quando si parla di farmaci e pratiche mediche, non valgono le opinioni personali. Valgono i risultati degli studi clinici, che sono migliaia, condotti dalle autorità sanitarie di tutto il mondo e non solo dalle industrie farmaceutiche come si vuol far credere e sono studi di ampio respiro, che valutano rischi e benefici nell'arco di decenni, su grandi numeri.

lunedì 7 luglio 2014

Per una gravidanza serena, cura l'igiene orale

Thegreenj via Wikimedia Commons
La parodontite, infiammazione delle gengive causata dalla proliferazione di batteri nel solco gengivale, determina in gravidanza un aumento del rischio di parto prematuro, basso peso alla nascita, preeclampsia e aborto spontaneo. "Diversi studi lo hanno evidenziato negli ultimi 20 anni", dice Silvio Abati, professore di malattie odontostomatologiche dell'Università di Milano.
Che nesso c'è tra i microbi della bocca e l'ambiente uterino? "I batteri presenti sulla mucosa gengivale possono penetrare nel circolo sanguigno materno e raggiungere per quella via le membrane amniotiche e il feto. Inoltre, i batteri anaerobi responsabili della parodontite rilasciano delle tossine, i lipopolisaccaridi, che stimolano una reazione infiammatoria da parte del sistema immunitario umano. In gravidanza una reazione di questo tipo può compromettere la funzionalità della placenta".
La raccomandazione dello specialista alle future mamme, dunque, è di avere la massima cura della propria igiene orale durante l'attesa. "Se possibile, bisognerebbe rivolgersi al dentista ancor prima del concepimento per fare un controllo e una pulizia dei denti", spiega Abati. "Se la gravidanza non era programmata, la pulizia andrebbe fatta comunque non appena si scopre di aspettare, entro il terzo mese. A casa, poi, è fondamentale mantenere l'ambiente orale sano con spazzolino e dentifricio. Eventuali processi infiammatori in atto vanno segnalati al dentista e curati tempestivamente".
Un tempo si diceva che il nascituro "ruba i denti" alla mamma, cioè che la gravidanza è dannosa per i denti. Che cosa c'è di vero? "Aspettare un bambino non è dannoso per la salute dei denti, ma per quella delle gengive sì", risponde l'esperto. "I cambiamenti ormonali comportano un aumento della sensibilità delle mucose orali durante l'attesa e abbassano le difese immunitarie materne, esponendo le gengive a un maggior rischo di infezioni e rendendo più fastidioso l'uso dello spazzolino. Una ragione in più per curare con delicatezza ma con attenzione la salute orale".

domenica 6 luglio 2014

L'alimentazione contro l'endometriosi

National Cancer Institute via Wikimedia Commons
Tre milioni di donne nel nostro Paese, 14 in Europa e 150 nel mondo soffrono in forma più o meno grave di endometriosi, una malattia cronica dovuta alla presenza di porzioni di endometrio, il tessuto che riveste la superficie interna dell'utero, in sedi anomale come le tube o le ovaie. Ogni mese, durante le mestruazioni, questi frammenti di tessuto endometriale sanguinano e si infiammano, causando dolore pelvico cronico, fastidio durante i rapporti sessuali e, nei casi più seri, infertilità.
"Come i miomi e altre malattie dell'apparato riproduttivo femminile, l'endometriosi è legata all'azione degli ormoni estrogeni. Poiché gli estrogeni sono prodotti, tra l'altro, anche dal tessuto adiposo, spesso le malattie estrogeno dipendenti migliorano controllando il peso, abbassando l'indice di massa corporea", spiega Paola Viganò, biologa del Centro Scienze della Natalità dell'Ospedale San Raffaele di Milano. "Non è così per l'endometriosi. Il nostro centro di recente ha portato a termine una revisione della letteratura medica su endometriosi e alimentazione. Ne è emerso che questa patologia colpisce prevalentemente donne magre e che intervenire sull'indice di massa corporea non modifica in alcun modo la severità della malattia in corso. Neppure aumentare il proprio peso corporeo giova. Tuttavia c'è un'evidenza, debole ma statisticamente significativa, che alcuni alimenti abbiano un'azione protettiva e altri un'azione favorente la malattia".
Ecco dunque una lista di alimenti consigliati e sconsigliati a chi soffre di endometriosi, ricordando comunque che un regime alimentare sano seve essere equilibrato e vario.
"La verdura svolge un'azione protettiva', dice Paola Viganò. "Lo stesso effetto hanno i grassi omega-3 contenuti nel pesce, mentre sono predisponenti i grassi saturi, quelli contenuti nelle patatine e in tanti alimenti confezionati. Predispone all'endometriosi il consumo di alcool, soprattutto se in forti dosi, mentre il caffè non ha effetti positivi o negativi. Infine, un fattore che favorisce la malattia è la carenza di vitamina d. La nostra pelle produce vitamina d quando è esposta al sole, oppure possiamo assumerla sotto forma di integratore alimentare. Nonostante l'Italia sia un Paese mediterraneo, a forte insolazione, sono tanti gli Italiani, uomini e donne, che durante i mesi autunnali e invernali soffrono di carenza cronica di vitamina d. Il mio consiglio è di non limitarsi a prendere il sole ad Agosto, ma di esporsi quotidianamente all'aria aperta e alla luce del sole. È sufficiente una passeggiata giornaliera di una ventina di minuti e giova a tutti, non solamente alle donne affette da endometriosi".

martedì 1 luglio 2014

Ho donato i miei ovociti: la storia di Alessandra (storia completa)

Alessandra ha 26 anni e ama i bambini. Studia per diventare educatrice dell'infanzia. È italiana, ma per alcuni anni ha vissuto in Spagna per lavoro. Lì, a Bilbao, ha fatto una scelta che nel nostro Paese oggi è legale ma, di fatto, non è ancora accessibile: ha donato alcuni suoi ovociti per consentire a donne sterili di coronare il proprio desiderio di maternità.
In Italia la recente sentenza della Corte Costituzionale ha sancito la legalità della fecondazione eterologa, tuttavia l'assenza di linee guida nazionali specifiche ha di fatto impedito finora la donazione di gameti e l'utilizzo di gameti donati. Non è così in Spagna, dove l'ovodonazione è consentita e incoraggiata.
La normativa europea prevede che non si possa fare commercio degli ovociti o degli spermatozoi. La donazione deve essere gratuita, tuttavia in alcuni Paesi è previsto un rimborso spese per le donne che si sottopongono alla procedura invasiva, sacrificando anche giorni di lavoro. "In Spagna questo rimborso è cospicuo, tanto da rasentare l'entità di un vero e proprio compenso, una pratica oggetto di critiche a livello europeo", spiega la psicologa Laura Volpini, presidente della neonata Associazione Italiana Donazione Altruistica e Gratuita dei Gameti.

"Avevo bisogno di soldi, ma..."

"Una conoscente mi ha consigliato di donare i miei ovuli perché avevo bisogno di soldi", racconta Alessandra. "La mia prima motivazione è stata questa. Mi hanno offerto 1.200 euro in cambio di un mese di disponibilità, esami, assunzione di farmaci per stimolare le ovaie e poi l'intervento di prelievo degli ovociti. Intendiamoci, però: non mi sarei mai sottoposta per soldi a una procedura rischiosa per la mia salute o per la mia fertilità. Mi sono informata, ho parlato con i medici, ho fatto mille domande a cui gli operatori hanno risposto in modo esauriente. Sono stata rassicurata e sono stata seguita con attenzione. Avevo un numero di telefono che potevo chiamare a qualsiasi ora, di giorno o di notte, per manifestare eventuali dubbi".
Stimolazione ovarica e prelievo degli ovociti, se fatti a regola d'arte, non comportano rischi significativi per la salute della donatrice. "Ormai sono procedure di routine", dice il ginecologo Andrea Borini, presidente della Società Italiana Fertilità, Sterilità e Medicina della Riproduzione, "tanto che alcuni medici, soprattutto in altri Paesi, cominciano a consigliare alle donne giovani e fertili di mettere da parte alcuni ovociti per avere l'opportunità di utilizzarli per se stesse in futuro, se dovesse presentarsi la necessità".
Prima di prendere una decisione definitiva sulla donazione, Alessandra si è documentata su Internet. "Ho letto le storie di altre ragazze che avevano intrapreso la stessa strada e, soprattutto, ho letto le storie di donne disperate per la propria sterilità che grazie all'ovodonazione avevano potuto mettere al mondo i figli tanto cercati", racconta. "Così al bisogno di soldi si è aggiunta un'altra motivazione: poter essere d'aiuto ad altre donne in difficoltà, realizzare il loro sogno. Inoltre, io in passato ho interrotto volontariamente una gravidanza. Potevo avere un figlio, ma quello per me non era il momento giusto. Donando i miei ovuli ho ristabilito una sorta di equilibrio".

Le motivazioni di chi dona

"Nella maggior parte dei casi in Europa le donatrici sono donne che si sono sottoposte a procreazione medicalmente assistita e hanno prodotto ovociti maturi in sovrannumero. Completata la procedura, hanno deciso di non crioconservare i gameti avanzati, almeno non tutti, ma di donarne una parte", dice Volpini. "Fanno questa scelta perché hanno sperimentato in prima persona l'infertilità e il ricorso alla PMA e solidarizzano con le altre donne nella stessa situazione che hanno necessità di ovociti donati. Un'altra motivazione abbastanza comune è la donazione per un'amica. Poiché nella maggior parte dei Paesi europei vige l'obbligo di anonimato del donatore, se una donna vuole aiutare un'amica in difficoltà può fare ricorso alla donazione crociata. Va al centro per la fertilità e offre i propri ovociti. In cambio la struttura utilizza altri ovociti, di donatrice anonima, per l'intervento sull'amica".
Uno degli scopi dell'Associazione Italiana Donazione Altruistica e Gratuita dei Gameti è diffondere nel nostro Paese la cultura dell'ovodonazione come gesto motivato da solidarietà umana. "Chi dona il sangue o il midollo viene considerato generoso e altruista", osserva la psicologa. "Manca ancora, in Italia, la stessa considerazione per chi dona i gameti. È su questo aspetto, tra gli altri, che ci proponiamo di lavorare".

Gli esami

"Dal momento in cui ho fatto la mia scelta e mi sono rivolta alla clinica, sono stata sottoposta a una serie di controlli, per escludere qualunque ostacolo alla donazione", racconta Alessandra.
"Ho parlato con un dottore che ha ricostruito la mia storia medica e quella della mia famiglia", spiega. "Si è informato su eventuali precedenti di malattie ereditarie. Ha avuto qualche perplessità quando ha saputo che la mia famiglia è di origine sarda e dunque ho un maggior rischio di essere portatrice di anemia mediterranea, ma i successivi esami hanno escluso questa eventualità".
Le aspiranti donatrici di ovociti vengono sottoposte ad analisi del sangue per le più comuni malattie genetiche. "Di solito si esegue il test per la fibrosi cistica e in alcuni casi, se provengono da aree a rischio, quello per l'anemia mediterranea", spiega il ginecologo Andrea Borini. "È previsto anche un esame del cariotipo per escludere alterazioni cromosomiche che potrebbero aumentare il rischio di aborto spontaneo. Altri esami del sangue prescritti di routine sono quelli per le malattie infettive: HIV, epatite B e C e sifilide. Infine è previsto un tampone cervicale per escludere la clamidia".
Terminata la trafila dei test, Alessandra è stata sottoposta a visita ginecologica ed ecografia pelvica. Infine, a un colloquio con una psicologa. "Tra le altre cose, mi ha chiesto che cosa provavo all'idea che dai miei ovociti donati potessero nascere dei bambini che sarebbero stati a tutti gli effetti figli di altre donne", racconta la ragazza.
"Il colloquio ha la funzione di tutelare il benessere psicologico della donatrice", spiega la psicologa Laura Volpini. "Serve ad accertare che la donazione sia un gesto pienamente consapevole e volontario, che la donna sia serena nella sua scelta. Di solito, se la decisione è stata ben ponderata, la donatrice prova soddisfazione per il gesto altruistico. Possono subentrare dei rimorsi in alcuni casi particolari. Per esempio, se la donatrice si sottopone a sua volta a PMA e il trattamento non ha successo, potrebbe provare del risentimento pensando che gli ovociti donati ad altre donne sono invece andati a buon fine".

La procedura

"Tre o quattro giorni dopo l'ultima visita, i medici della clinica hanno chiamato per comunicarmi che andava tutto bene e potevamo procedere", racconta Alessandra. "Ho firmato un consenso informato molto dettagliato e ho dato la mia disponibilità ad assumere i farmaci prescritti ogni giorno agli orari previsti e a sottopormi a visite ed ecografie a giorni alterni per un mese, fino al prelievo degli ovociti".
Inizialmente ad Alessandra è stato prescritto un contraccettivo per alcuni giorni. "Non sempre è previsto", spiega Andrea Borini. "È necessario nei casi in cui bisogna sincronizzare il ciclo della donatrice con quello della ricevente, in modo tale che gli ovociti siano maturi e pronti al prelievo nel momento giusto per fecondarli e procedere con l'impianto dell'embrione".
In seguito le sono state prescritte delle gonadotropine per stimolare la maturazione contemporanea di più follicoli. "Erano delle iniezioni sottocutanee che dovevo farmi da sola sulla pancia", racconta Alessandra. "Due al giorno: una pizzicava un po'. Gli orari delle iniezioni andavano rispettati rigorosamente e se ritardavo per qualche ragione dovevo chiamare un numero di telefono della clinica e chiedere istruzioni".
Nel corso del trattamento non ha provato alcun fastidio, ma ha notato alcuni cambiamenti fisici. "Mi è cresciuto il seno e avevo l'addome un po' gonfio", spiega, "ma alla fine di tutto sono tornata alle condizioni di partenza".
Al termine del mese, la donatrice è andata alla clinica per il prelievo degli ovociti maturi. "Mi hanno sedata e mi sono addormentata. Non ho sentito niente", racconta. "Sono tornata a casa la sera stessa, ma nei giorni successivi sono andata ancora alla clinica per una visita di controllo con ecografia. Avevo un piccolo versamento di sangue nell'ovaio e nei due giorni successivi al prelievo ho avuto dolori addominali piuttosto forti. La dottoressa mi ha rassicurato: il versamento si sarebbe riassorbito da solo. In effetti in seguito sono stata bene e non più avuto problemi".
Il prelievo degli ovociti è un intervento mini invasivo. Si effettua con un sottile ago che raggiunge l'ovaio per via vaginale. Normalmente non ha alcuna conseguenza negativa per la salute della donatrice. "Alcune donne possono provare dolore all'addome nelle ore successive, più o meno accentuato, ma è un disturbo superabile con un analgesico e si risolve poi spontaneamente", spiega Borini. "Sono previsti dei controlli per verificare che le ovaie siano tornate alla loro attività fisiologica".

L'anonimato

"L'idea che dalle cellule che ho donato possano essere nati dei bambini mi piace, mi fa sentire bene", dice la Alessandra. "Soprattutto sono soddisfatta al pensiero di avere aiutato altre donne a coronare il proprio desiderio di maternità, ma se penso a quei bambini non li sento come figli miei. Un bambino è figlio di chi lo partorisce e, ancor più, di chi lo cresce. Non è una questione biologica, ma di amore. Ecco perché dico che non sono figli miei e quando un giorno avrò dei bambini non nutrirò alcun rimpianto per quelli eventualmente nati dai miei ovociti, non farò alcuna confusione di affetti".
Alessandra non sa se le gravidanze avviate con i gameti che ha donato siano andate a buon fine né lo saprà mai. La legge spagnola prevede l'anonimato dei donatori di ovociti e spermatozoi. Tra loro, le coppie riceventi e, in seguito, i bambini nati non c'è comunicazione né alcun rapporto parentale o giuridico.
"È una misura a tutela di tutte le parti coinvolte: della donatrice, della coppia che riceve la donazione, dei nati, ma anche di eventuali altri figli della coppia e di eventuali figli della donatrice", commenta Laura Volpini.
In gran parte dei Paesi europei la normativa è orientata in tal senso. "Ma non in tutti", aggiunge l'avvocato Sebastiano Papandrea, legale dell'Associazione. "Per esempio, in Gran Bretagna una volta vigeva l'obbligo dell'anonimato assoluto. Di recente questo paletto è stato rimosso. In Italia la norma di riferimento è la legge 40 che, nonostante vietasse l'eterologa, regolamenta il caso in cui una coppia faccia ricorso a questo tipo di intervento all'estero. Prevede l'anonimato del donatore o della donatrice e stabilisce che tra il donatore e il nato non sussiste alcun legame. Inoltre, nel nostro Paese fa testo sulla questione anche la legge sulla donazione degli organi e dei tessuti, che prevede l'anonimato di chi dona. Non è detto, però, che anche in Italia non si possano in futuro rivedere le regole. Già nel caso delle adozioni è possibile, in determinate circostanze, che un giudice consenta a un figlio di acquisire informazioni sulla madre biologica o a una madre di acquisire informazioni sul figlio. È concepibile, in futuro, un ripensamento in tal senso anche per l'eterologa, con valutazioni fatte dai giudici caso per caso. Quel che è certo è che la coppia che ha fatto consapevolmente ricorso all'eterologa non può in seguito disconoscere la paternità o la maternità sulla base dell'assenza del vincolo biologico. Il nato è protetto. La famiglia entro cui nasce è legalmente la sua famiglia".

La "tracciabilità" dei gameti

Anonimato del donatore non significa assenza totale di informazioni sul suo conto. La clinica che ha effettuato il trattamento di fecondazione assistita eterologa mantiene nei propri archivi tutti i dati relativi alla storia medica e agli esami effettuati da chi ha donato ovociti o spermatozoi. "Sono informazioni necessarie per la tutela della salute futura dei nati", dice in ginecologo Andrea Borini, "e sono a disposizione dei diretti interessati e delle famiglie. Esiste, quindi, una sorta di tracciabilità dei gameti".
I donatori vengono esaminati per escludere le patologie genetiche più comuni, come la fibrosi cistica e l'anemia mediterranea, e le alterazioni cromosomiche ereditarie. "Attenzione, però: ciò non signfica che i bambini nati da fecondazione eterologa siano del tutto esenti dal rischio di malattie ereditarie", spiega Borini. "Allo stato attuale la scienza non è in grado di escludere al 100% il rischio di ereditare una malattia o la predisposizione a una malattia. Il rischio esiste sempre quando si fa un figlio spontaneamente, con fecondazione assistita omologa o eterologa. Non ha alcun senso, dunque, aspettarsi la perfezione, come se la clinica potesse fornire una garanzia di salute".
Similmente, la coppia che fa ricorso all'eterologa non può chiedere alla clinica ovociti o spermatozoi portatori di specifiche caratteristiche, allo scopo di avere un figlio bellissimo o super intelligente. "Non funziona così. Questa è fantascienza", osserva il ginecologo. "Gli operatori scelgono il donatore o la donatrice in modo tale che il figlio abbia a grandi linee caratteristiche fisiche analoghe a quelle dei genitori, come il colore della pelle e dei capelli, ma non si può cercare il donatore che abbia il profilo del naso come quello del futuro padre. I tratti di una persona dipendono da una moltitudine di fattori, genetici e ambientali, e siamo i grado di orientarli solo in minima parte. E il figlio nato da una coppia o anche solamente allevato da una coppia, come accade nelle adozioni, tende a somigliare ai genitori anche se non ne condivide del tutto o per nulla il DNA".

Risparmiare sulle vaccinazioni

foto CDC
"Lo scandalo dello spreco di soldi pubblici per vaccini pediatrici inutili se non addirittura pericolosi". Sono queste le esatte parole usate nel comunicato stampa del Codacons che ha presentato un esposto contro la somministrazione della vaccinazione esavalente, ipotizzando i reati di truffa e abuso d'ufficio. Di recente la storia di questo esposto ha avuto ampia eco sulla stampa per la decisione del Gip di Torino di accoglierlo per ulteriori indagini.
La legge stabilisce l'obbligatorietà di quattro vaccinazioni, contro tetano, difterite, polio ed epatite B. L'esavalente, somministrata di routine ai bambini, ne contiene altre due, non obbligatorie ma raccomandate, quella contro la pertosse e quella contro l'Haemophilus influenzae di tipo b. Dal momento che non sono obbligatorie, sostiene il Codacons, non c'è alcuna ragione di fare queste ultime due vaccinazioni. Dal momento che non sono obbligatorie, sono inutili. Come se fosse utile solo ciò che è obbligatorio fare.
Ma c'è di più. L'associazione prosegue dicendo che eliminare l'esavalente, e dunque tagliare le due vaccinazioni non obbligatorie, comporterebbe un cospicuo risparmio di soldi per la collettività. Risparmiare sulla prevenzione è una mossa miope e improvvida, la peggior scelta possibile nella gestione della sanità pubblica.

Il vaccino contro il vaiolo oggi non viene più somministrato perché l'infezione, grazie alla vaccinazione, non esiste più. (CDC via Wikimedia Commons)
Prevenire serve a risparmiare
Si da il caso, infatti, che un'ampia documentazione scientifica testimoni l'efficacia di quei due vaccini nel prevenire la pertosse e l'Hib. E il loro costo per la collettività è nettamente inferiore al costo dei casi di malattia che l'assenza di vaccinazione comporterebbe.
Stefania Salmaso, direttore del Centro di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto Superiore di Sanità, lo spiega dettagliatamente in una nota pubblicata di recente dall'ISS.
"Nel caso del Hib", scrive, "il costo della malattia deve tenere presente la gravità delle infezioni cliniche, invasive, che si verificano nella prima e nella seconda infanzia (specialmente meningite e sepsi tra 3 e 24 mesi, epiglottidite tra i 2 e i 5 anni); l’elevata frequenza degli esiti: 15-20% di sequele neurologiche, tra le quali ipoacusie; incremento della resistenza batterica per l’uso di trattamenti antibiotici. Vale la pena di ricordare che in Italia prima dell’introduzione della vaccinazione estesa si contavano più di un centinaio di casi ogni anno di malattie invasive da Hib. La vaccinazione è stata introdotta dal 1995, ma solo dopo la disponibilità di vaccini combinati con le componenti obbligatorie la sua frequenza d’uso è aumentata da quasi azzerare i casi in Italia.
Anche per la pertosse in epoca pre-vaccinale estesa (primi anni Novanta) si registravano decine di migliaia di casi ogni anno. Ogni caso di pertosse tossisce in modo parossistico per circa due mesi, viene sottoposto a diversi accertamenti e trattamenti e rimane per diverso tempo particolarmente suscettibile a molte infezioni respiratorie. Per i bambini nel primo anno di vita la pertosse può essere fatale. Tutto questo comporta costi economici non indifferenti moltiplicati per il numero di casi nel Paese. Dall’introduzione della vaccinazione, a partire dalla fine degli anni Novanta, la frequenza di pertosse ha registrato una diminuzione del numero dei casi, fino ai minimi storici degli ultimi anni".
La prevenzione, dunque, è uno strumento che serve proprio a risparmiare. Tagliare sulla prevenzione non fa risparmiare. Al contrario, moltiplica i costi.

foto CDC
I danni della guerra ai vaccini
Risparmiare sui vaccini o far la guerra ai vaccini diffondendo paure prive di fondamento scientifico fa dei danni concreti. Il 12 giugno scorso, in occasione del Congresso Italiano di Pediatria, sono stati presentati i dati relativi alla diffusione del morbillo nel nostro Paese.
"Nel mese di aprile 2014 si sono verificati in Italia 236 casi, portando a 1.047 quelli segnalati dall'inizio dell'anno, in notevole aumento rispetto al corrispondente periodo del 2013, quando si registrarono poco più di 700 casi", ha illustrato Alberto Ugazio, direttore del Dipartimento di Medicina Pediatrica dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma e presidente della Commissione vaccini della Società Italiana di Pediatria. "Lo scorso anno sono stati registrati complessivamente circa 2.200 casi di morbillo, ma a fine 2014 c'è da aspettarsene molti di più perché i dati oggi disponibili non comprendono il periodo di maggio-giugno, quando non si è ancora esaurito il picco stagionale".
Sulle cause del fenomeno gli specialisti non hanno dubbi: è correlato al progressivo calo in atto della copertura vaccinale contro il morbillo, un'altra vaccinazione non obbligatoria e dunque, secondo la logica dell'esposto del Codacons, inutile.

Il prossimo 8 luglio a Roma, l'Auditorium del Ministero della Salute ospiterà una conferenza stampa sull'importanza delle vaccinazioni pediatriche, in occasione del primo anno dalla nascita del portale di informazione www.vaccinarsi.org