lunedì 29 dicembre 2014

Bimbi obesi: danno alla vista

D Sharon Pruitt via Wikimedia Commons
È brutto parlare di obesità sotto le feste, quando siamo assediati da pranzi di famiglia e panettoni? Ancora più brutto parlare di obesità infantile? Probabilmente sì, ma la coincidenza aiuta a dar risalto all'allarme lanciato dall'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù: i bambini obesi rischiano danni alla retina, danni che possono manifestarsi già nell'immediato e poi aggravarsi col passare del tempo se la condizione di obesità non viene corretta.
Lo dimostra uno studio condotto dai medici dell'ospedale su 1.000 piccoli e pubblicato sul Journal of Gastroenterology.
L'obesità è associata allo sviluppo di intolleranza al glucosio, fino al diabete di tipo 2, a steatosi epatica, cioè accumulo di grasso nel fegato, e alterazioni del livello dei trigliceridi. È associata a ipertensione, già in età pediatrica, e aumento del rischio cardiovascolare. Insomma, nuoce alla salute dei piccoli in diversi modi.
Ora gli specialisti del Bambino Gesù hanno evidenziato anche l'esistenza di un'associazione tra obesità infantile e danni al microcircolo sanguigno della retina. "Danni riscontrati nel 9% dei bambini obesi e pressoché inesistenti nei bambini normopeso", spiega Valerio Nobili, responsabile della Struttura semplice di epatologia, gastroenterologia e nutrizione dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, uno degli autori dello studio. "Qualora venga trascurata, la retinopatia può evolvere verso stadi più avanzati, fino alla compromissione della vista".
Cosa fare? Non è il caso di negare una fetta di panettone ai bambini a Natale, ma impostare per loro una dieta equilibrata tutti i giorni dell'anno, farli correre, camminare e giocare all'aria aperta e, quando sono già sovrappeso o in condizione di obesità, chiedere consiglio al pediatra.
"Inoltre, è importante eseguire un'attenta visita oculistica a tutti i bambini obesi", aggiunge Luca Buzzonetti, responsabile dell'Unità Operativa Complessa di Oculistica dell'ospedale e coautore della ricerca.

martedì 23 dicembre 2014

Farmaci online: le insidie della rete

"Ragazze, il mio piccolo non vuol mangiare. Che cosa date ai vostri per stimolare l'appetito?"
"Io ho ne ho provati tanti e mi sono trovata bene solo con lo sciroppo Xxx"
"Grazie! Sarà il prossimo che proverò!"

Il logo che certificherà la legittimità delle farmacie online  dal prossimo 1 luglio
 Fate un giro su qualunque forum online per mamme e ne troverete a bizzeffe di scambi come questo. Recensioni e prescrizioni fai da te di farmaci, integratori e prodotti fitoterapici si incrociano nell'anonimato della rete.
Secondo l'ultimo Rapporto del CENSIS sulla situazione sociale del Paese, il 41,7% degli Italiani cerca informazioni sanitarie sul web e il 48,1% mette in pratica, più o meno frequentemente, le indicazioni per la salute reperite sui media e su Internet.
La conoscenza a portata di click è una gran cosa, ma in rete circola di tutto e a volte non è facile distinguere le fonti affidabili dai siti spazzatura.
Ma c'è di peggio: il mercato dei farmaci online. Nonostante la compravendita di medicinali via Internet sia attualmente vietata nel nostro Paese, secondo l'Aifa il ricorso a rivenditori sul web è molto diffuso. E a servirsi di questi fornitori non sono solo gli uomini con disturbi erettili che cercano pilloline blu al riparo dall'imbarazzo. "C'è anche il pubblico femminile: donne che acquistano prodotti per dimagrire, fitoterapici per stimolare la fertilità, farmaci da banco e integratori per proteggere i bimbi dai malanni di stagione", osserva Antonio Clavenna, farmacologo dell'Istituto Mario Negri di Milano. Attenzione, perché in rete il rischio di incappare in un prodotto scaduto o contraffatto è altissimo. "Può trattarsi di medicinali che non funzionano o, peggio ancora, dannosi", spiega Clavenna.
Dal primo luglio dl 2015, la compravendita di farmaci online sarà legale anche in Italia, limitata ai prodotti da banco, senza obbligo di ricetta. Le farmacie autorizzate dal Ministero della Salute figureranno in un elenco ufficiale e saranno riconoscibili da un logo comune a tutti i Paesi dell'UE.
"Anche dopo quella data, raccomando cautela negli acquisti online per i bambini e le future mamme", dice il farmacologo. "Infanzia e gravidanza sono due fasi della vita in cui è opportuno consultare un medico anche per l'indicazione di farmaci da banco, senza obbligo di ricetta. Chi non consulta il medico ma si rivolge a un farmacista in carne e ossa può, quanto meno, giovarsi del suo consiglio. L'acquisto online taglia anche questo filtro esponendo a rischi maggiori di inappropriatezza".

giovedì 18 dicembre 2014

#gattiniperlascienza 6

Per fare felice un bambino non c'è bisogno di un regalo costoso. Verissimo. Attenzione, però, a non sacrificare la sicurezza dei giocattoli in nome del risparmio. I requisiti minimi che ogni prodotto deve rispettare per finire tra le mani di un bimbo sono due: che sia contrassegnato con il marchio CE e che la fascia d'età consigliata sia quella giusta per il destinatario.
"Attenzione soprattutto agli oggetti smontabili in piccoli pezzi, come le ruote delle macchinine o gli occhi dei peluches, e a quelli che contengono batterie a bottone", avverte Antonio Urbino, presidente della Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza Pediatrica. "Il 40% dei casi di soffocamento è dovuto all'ingestione di giocattoli e piccoli oggetti. Le conseguenze possono essere molto gravi".

martedì 16 dicembre 2014

Pianificare le gravidanze: un diritto di poche

DFID - UK Department for International Development
Entro il 2050 l'umanità conterà 9 miliardi e mezzo di individui, secondo le stime citate da Massimo Livio Bacci, demografo dell'Università di Firenze in un recente incontro dell'Accademia dei Lincei a Roma. "La crescita non sarà uniforme in tutti i paesi", ha spiegato Bacci. "Ci sarà stazionarietà nei paesi ricchi, un incremento del 30% nei paesi ‘meno poveri’, nelle aree in via di sviluppo, e addirittura un raddoppio nei paesi poverissimi, in gran parte nell’Africa sub-sahariana".
L'incremento produrrà più insicurezza alimentare e malnutrizione, danni all'ambiente e flussi migratori incontrollati. 
Che fare? Contenere per quanto è possibile la crescita demografica. Non certo con i fantomatici "vaccini sterilizzanti" che ONU e OMS diffonderebbero in Africa secondo una bufala che circola di questi tempi in rete, ma garantendo alle donne accesso alla pianificazione familiare per programmare, ritardare e distanziare le gravidanze. È una delle imprese che impegna maggiormente l'Organizzazione Mondiale della Sanità, un'impresa tutt'altro che facile, per i suoi risvolti politici e culturali.
"Gli sforzi in questa specifica area di lavoro devono necessariamente essere inter-settoriali", spiega
Flavia Bustreo, vice direttore generale per la salute delle famiglie, delle donne e dei bambini dell'OMS, che ho intervistato alcuni mesi fa per il mensile Confronti. "Per esempio, soluzioni legislative atte ad affrontare il tema delle spose bambine possono allo stesso tempo avere un impatto sulla salute riproduttiva, nello specifico sulla riduzione delle gravidanze in età adolescenziale. È importante sottolineare che tutti questi interventi hanno come fine ultimo la tutela dei diritti dei bambini e più in generale dei diritti umani".
Non dimentichiamo, infatti, che la maternità non pianificata in questi Paesi comporta una elevatissima mortalità materna e infantile: ogni giorno nel mondo 800 donne muoiono a causa di complicanze della gravidanza o del parto e il 99% dei decessi avviene nei Paesi a basso reddito e nelle zone rurali di quelli a medio reddito, più della metà nell'Africa sub-sahariana e un terzo nel Sud-Est asiatico. E in queste due regioni avviene più del 70% dei decessi di bambini entro i primi 5 anni di vita.

lunedì 15 dicembre 2014

Cerchi un bimbo? Tre ragioni per controllare la tiroide

Sean McGrath via Wikimedia Commons
L'ipotiroidismo e in particolare quello dovuto a tiroidite di Hashimoto, una malattia autoimmune che provoca la progressiva distruzione della funzionalità della tiroide, è molto diffuso tra le donne in età fertile. Ne soffre dal 5 al 20% e spesso non è riconosciuto perché in forma subclinica e asintomatica o con sintomi molto sfumati.
Ci sono tre ragioni per cui una donna che cerca una gravidanza dovrebbe controllare la tiroide con un semplice dosaggio ematico dell'ormone TSH o, in caso di precedenti familiari, con la ricerca degli anticorpi antitiroidei.
La prima ragione è che l'ipotiroidismo riduce la fertilità femminile. Provoca un aumento della prolattina e rallenta il metabolismo degli ormoni sessuali femminili, arrivando nei casi più seri a indurre irregolarità mestruali.
La seconda ragione è che nelle prime fasi della gravidanza l'ipotiroidismo può ostacolare l'impianto dell'ovocita fecondato e aumenta il rischio di interruzione spontanea a impianto avvenuto.
La terza ragione è che fino alla dodicesima settimana, quando il feto sviluppa la propria tiroide, il fabbisogno di ormoni tiroidei del nascituro è soddisfatto dalla tiroide materna, che deve funzionare in modo ottimale: ne va dello sviluppo del sistema nervoso fetale.
Il superlavoro richiesto alla tiroide materna in gravidanza può trasformare una tiroidite subclinica in franco ipotiroidismo. Lo stesso può accadere se la donna si sottopone a procreazione assistita, perché l'impennata degli ormoni estrogeni prodotta dalla stimolazione farmacologica delle ovaie può interferire con il funzionamento di una tiroide che ha in partenza qualche problema. Per questa ragione molti centri per la PMA prescrivono alle aspiranti mamme gli esami per la tiroide prima di dare il via al trattamento.

sabato 13 dicembre 2014

#gattiniperlascienza 5

Fumare in presenza di un bimbo o fumare nella stanza in cui dorme abitualmente espone il piccolo a un rischio aumentato di soffocamento nel sonno, la Sudden Infant Death Syndrome (SIDS) o sindrome della morte in culla.
Maggiori informazioni sulla SIDS e sulle accortezze per la sua prevenzione sono disponibili sul sito del Centro Regionale SIDS dell'Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze.

giovedì 11 dicembre 2014

Poveri in tutti i sensi

Il 47,9% dei bambini e ragazzi italiani di età compresa tra i 6 e i 17 anni non ha letto neppure un libro nel corso del 2013. Il 60,8% non ha visitato una mostra o un museo, il 51,6% non ha fatto neppure una vacanza lontano da casa.
Sono i dati impressionanti che emergono dal 5° Atlante dell'Infanzia (a rischio) in Italia, pubblicato qualche giorno fa da Save the Children Italia.
La deprivazione educativa e culturale va di pari passo con la povertà economica che coinvolge sempre più famiglie con bambini: il 13,8% dei minori vive in condizioni di povertà assoluta, il 23% in condizioni di povertà relativa, costretti a rinunciare a sport, svaghi, viaggi e cultura.
Le scuole primarie e medie a tempo pieno sono meno del 50%. Solo 13,5% bambini di età compresa tra 0 e 2 anni frequenta un nido pubblico o convenzionato.

Qui potete scaricare il rapporto di Save the Children e conoscere le iniziative dell'associazione contro la povertà materiale e culturale dei bambini.

lunedì 8 dicembre 2014

Questione di vita o di morte: lo screening metabolico neonatale



Vita o morte di un bimbo possono dipendere dall'esito dell'analisi di poche goccie di sangue prelevate dal suo tallone alla nascita. È lo screening metabolico neonatale, un test che permette di diagnosticare tempestivamente più di 40 malattie metaboliche ereditarie. Ne soffre un neonato su 3.000. Sono rari difetti genetici che provocano la carenza o la totale assenza di enzimi essenziali per il corretto funzionamento dell'organismo.
"Producono gravi disabilità permanenti, spesso sono letali", spiega Alberto Burlina, direttore della Struttura Complessa Malattie Metaboliche Ereditarie dell'Università di Padova. "Ma se vengono diagnosticate precocemente, prima della manifestazione clinica, e trattate con gli opportuni farmaci o con restrizioni dietetiche, nella maggior parte dei casi è possibile mitigarne i danni salvando la vita al bambino e preservando il suo corretto sviluppo".
In Italia per legge tutti i neonati devono essere sottoposti a screenining per tre di queste patologie: fibrosi cistica, ipotiroidismo congenito e fenilchetonuria. "Nei fatti, però, solo l'83% fa il test per la fibrosi cistica, a causa di carenze economiche e organizzative di alcune Regioni", osserva Carlo Dionisi Vici, presidente della Società Italiana per lo Studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale. "Il 30% dei neonati italiani, invece, viene sottoposto allo screening allargato, che copre più di 40 patologie. Le Regioni che lo erogano sono Veneto, Trentino Alto Adige, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Sardegna. In alcune altre Regioni lo screening allargato viene offerto a macchia di leopardo solo da alcune ASL. Accade, per esempio, nel Lazio".
Si viene a creare così una situazione di profonda ingiustizia, per cui un bimbo può perdere la vita solo perché è nato nella città o nel quartiere sbagliato.
L'articolo 1, comma 229, della Legge di Stabilità per il 2014 introduce l'obbligatorietà dello screening neonatale esteso su tutto in territorio nazionale, finanziandolo nella misura di 5 milioni di euro all'anno, ma al momento non ha ancora trovato applicazione.
I futuri genitori che desiderano avvalersi di questo esame ma abitano in una Regione che non lo offre, possono rivolgersi all'Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie, che aiuta le famiglie di tutta Italia a organizzare privatamente l'esecuzione dell'esame appoggiandosi alle strutture delle Regioni attrezzate. Per maggiori informazioni vai su www.aismme.org, oppure chiama il numero verde 800910206.
"La disomogeneità nell'esecuzione dello screening non è l'unico punto dolente della questione", aggiunge Alberto Burlina. "Essendo queste malattie molto rare, sono pochi gli specialisti e le stutture con le competenze e l'esperienza per trattarle e spesso dopo la diagnosi le famiglie sono costrette a complicati spostamenti per far sì che il bimbo riceva le cure necessarie".

lunedì 1 dicembre 2014

AIDS: se la conosci la eviti


Il vecchio slogan delle campagne contro l'AIDS è più che mai attuale: se la conosci la eviti. In Italia pochi conoscono l'AIDS, pochi sanno come si contrae e si proteggono. I più pensano che il rischio di contagio riguardi gli altri, riguardi solo alcune fasce di popolazione a rischio.
Ecco qua i dati dell'Istituto Superiore di Sanità:
- 3.806 persone hanno scoperto di essere positive all'HIV nel 2013
- nel 72,2% dei casi si tratta di maschi
- l'incidenza più alta è stata registrata nella fascia d'età tra 25 e 29 anni
- nell'83,9% dei casi l'infezione è attribuibile a rapporti sessuali non protetti (26% maschi eterosessuali, 18,5% femmine eterosessuali, 39,4% maschi che hanno rapporti con maschi)
- il 76% dei nuovi diagnosticati è di nazionalità italiana
- più della metà delle nuove diagnosi è avvenuta con la malattia in fase già sintomatica

giovedì 27 novembre 2014

#gattiniperlascienza 4

Le cellule staminali contenute nel sangue che rimane nel cordone ombelicale reciso alla nascita sono utili per il trattamento di numerose malattie, come le leucemie e i linfomi. Donare il cordone non nuoce né al neonato né alla madre e può salvare una vita.
Chi desidera farlo, può informarsi sulla procedura e sui centri nascita abilitati sul sito dell'Associazione Donatori Sangue del Cordone Ombelicale.

Pillola dei 5 giorni dopo

Daniela Alejandra Robles via Wikimedia Commons
La cosiddetta "pillola dei 5 giorni dopo", un contraccettivo di emergenza efficace se assunto entro 120 ore da un rapporto non protetto, presto potrebbe diventare un farmaco da banco, acquistabile senza l'obbligo di presentare la ricetta medica.
Oggi in tutta Europa il contraccettivo è acquistabile solo presentando una ricetta medica non ripetibile. In Italia, unico Paese in Europa, per ottenere la ricetta bisogna esibire un test di gravidanza negativo, effettuato sul sangue o sulle urine.
Qualche giorno fa, il Comitato per i medicinali per uso umano dell'Agenzia europea dei medicinali ha accolto la richiesta di modificare la prescrizione della pillola da "farmaco soggetto a prescrizione medica" a "farmaco non soggetto a prescrizione medica". Se la Commissione Europea approverà l'indicazione del Comitato, il medicinale dovrà essere venduto in tutta Europa come prodotto da banco senza obbligo di ricetta.
L'ulipristal acetato, questo il nome del principio attivo della pillola dei 5 giorni dopo, agisce bloccando i meccanismi ormonali che danno l'avvio all'ovulazione e dunque bloccando l'ovulazione, anche se imminente. Dopo un rapporto sessuale non protetto, gli spermatozoi impiegano circa un'ora per raggiungere le tube. Lì intercettano l'ovocita se l'ovulazione è appena avvenuta. In questo caso, il contraccettivo di emergenza non può far nulla. Se invece l'ovulazione non è ancora avvenuta, gli spermatozoi "attendono" l'arrivo dell'ovocita per circa 48 ore, la loro durata di vita media, con picchi fino a 80 ore di sopravvivenza. Se entro questo limite l'ovulazione non è avvenuta, gli spermatozoi muoiono e non fecondano l'ovocita. Scopo della pillola dei 5 giorni dopo è ritardare o bloccare l'ovulazione imminente per impedire l'incontro dell'ovocita con gli spermatozoi prima che questi muoiano.
"È stato dimostrato da studi clinici recenti che in caso di mancata azione contraccettiva, cioè se l'incontro tra ovocita e spermatozoo è già avvenuto prima dell'assunzione, l'ulipristal acetato non provoca aborti, né gravidanze extrauterine, né malformazioni", dice Annibale Volpe, past president della Società Italiana della Contraccezione.

martedì 25 novembre 2014

#gattiniperlascienza 3

La Chlamydia trachomatis è una delle più comuni infezioni sessualmente trasmesse. Non uccide come l'HIV, ma è subdola: nel 70% è asintomatica, ma se non viene riconosciuta e trattata tempestivamente, nel 10-40% dei casi può provocare una malattia infiammatoria pelvica potenzialmente dannosa per la fertilità.
L'uso del preservativo protegge la donna dal rischio di contrarre l'infezione e salvaguarda la sua fertilità futura. A chi ha rapporti sessuali non protetti, i ginecologi consigliano di sottoporsi almeno una volta all'anno a un tampone vaginale specifico per la diagnosi della clamidia. L'infezione si cura con un ciclo di antibiotici.

lunedì 24 novembre 2014

Tosse cronica del bambino: va curata nel modo giusto

Stickpen via Wikimedia Commons
Durante la stagione delle infezioni respiratorie, a tutti i bambini capita di avere la tosse. Di solito il disturbo è fastidioso, soprattutto se interferisce con il sonno notturno, ma di breve durata: si risolve nell'arco di pochi giorni, quando il bimbo guarisce dall'infezione.
"Nel 10% dei casi, la tosse persiste oltre le quattro settimane", dice Ahmad Kantar, direttore dell'Unità Ospedaliera di Pediatria degli Istituti Ospedalieri Bergamaschi e presidente del Congresso Nazionale della Società Italiana di Pediatria Ospedaliera. "Si parla, allora, di tosse cronica. Spesso è dovuta a una ipersensibilità del riflesso della tosse che il bambino acquisisce a causa dell'infezione e, nel 20% dei casi, si risolve spontaneamente col tempo senza bisogno di assumere farmaci. Tuttavia, le cause della tosse cronica nel bambino possono essere tante, dunque il disturbo merita una visita dal pediatra e, se questi lo ritiene opportuno, un approfondimento diagnostico dallo specialista ed esami come la spirometria e la radiografia toracica".
In conclusione, spiega l'esperto:
-non bisogna sottovalutare la tosse cronica del bambino
-bisogna rivolgersi al pediatra per una visita e l'aventuale prescrizione di esami
-non bisogna somministrare al piccolo farmaci sintomatici o rimedi naturali senza un'indicazione del medico

domenica 23 novembre 2014

Diabete: una conferenza sulla salute in rete

In che modo la rete e i social network cambiano la percezione e la gestione di una malattia cronica come il diabete? Ne parleranno mercoledì 26 novembre alle ore 16, all'auditorium del Gruppo 24 Ore a Milano, specialisti, rappresentanti di associazioni di ammalati di diabete e delle loro famiglie, esperti di comunicazione e tecnologie digitali, a conclusione dell'iniziativa #5azioni della Sanofi.
Si parlerà anche di diabete gestazionale e di diabete infantile.

Qui trovate il programma dell'evento e la scheda per iscriversi e partecipare gratuitamente.
Chi mercoledì non sarà a Milano, potrà seguire la conferenza in diretta sul sito www.5azioni.it e su formazione.ilsole24ore.com/5azionisocialhealth

Anche Mammifera Digitale ospiterà la diretta qui


#gattiniperlascienza 2

D'inverno, non è l'esposizione all'aria aperta che fa ammalare, ma lo scambio di batteri e virus nei luoghi chiusi, surriscaldati e poco arieggiati. Giocare all'aria aperta, adeguatamente coperti, ed esporsi alla luce del sole stimola la produzione di vitamina D che rafforza le difese immunitarie, giova all'umore e fissa il calcio nelle ossa in crescita.

venerdì 21 novembre 2014

#gattiniperlascienza 1


Quella dal 17 al 23 novembre è la "settimana europea degli antibiotici", contro l'uso inappropriato di questi farmaci, che favorisce lo sviluppo di batteri resistenti

Vaccinazione anti HPV: la copertura nazionale è ferma al 70%

NIH via Wikimedia Commons
L'Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato il rapporto semestrale sull'avanzamento della campagna vaccinale contro il Papillomavirus.
Dal 2008 tutte le Regioni italiane offrono gratuitamente e attivamente il vaccino bivalente (contro i ceppi 16 e 18) o quello quadrivalente (contro i ceppi 6, 11, 16 e 18) a tutte le ragazze al compimento dell'undicesimo anno di età. In aggiunta, Valle D'Aosta, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Liguria e Romagna lo offrono attivamente e gratuitamente anche alle ragazze di 15, 18 e 25 anni.
Da quest'anno il piano vaccinale prevede la somministrazione di due dosi, sia per il farmaco bivalente sia per quello quadrivalente, a distanza di sei mesi una dall'altra. Chi ha già avviato il ciclo secondo la vecchia modalità, cioè con tre dosi, deve riceverle tutte e tre per assicurarsi una protezione efficace.
Il 75% delle giovani coinvolte finora nella campagna ha ricevuto la prima dose di vaccino. Il 70% ha completato il ciclo vaccinale.
L'obiettivo di raggiungere la copertura del 95% è ancora lontano.

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La "superamniocentesi"

Scott via Wikimedia Commons
Qualche tempo fa sono stata alla conferenza stampa di presentazione dell'amniocentesi e della villocentesi genomica, le cosiddette superamniocentesi e supervillocentesi. Sono due esami prenatali di recente introduzione in Italia. Si possono fare solo nel privato e costano circa 1.500 euro (qui trovate informazioni pratiche al riguardo).
I due nuovi esami si basano sul sequenziamento rapido del DNA, cioè sulla possibilità di analizzare in poche ore "lettera per lettera" i 19 mila geni del DNA umano. Di questi 19 mila vengono presi in considerazione circa 350 geni, le cui varianti patogene sono all'origine di un centinaio di malattie ereditarie conosciute. La superamniocentesi permetterebbe dunque di diagnosticare in utero circa 100 patologie genetiche, contro le poche alterazioni cromosomiche e malattie ereditarie diagnosticabili con l'amniocentesi tradizionale.
Ho consultato l'amico Sergio Pistoi, biologo molecolare, giornalista scientifico e autore del libro "Il DNA incontra Facebook: viaggio nel supermarket della genetica" (Marsilio 2012), per chiedergli un parere sulla questione. Ne ho parlato anche con Faustina Lalatta, genetista della Clinica Mangiagalli di Milano e consulente dell'Associazione per lo Studio delle Malformazioni.

Ecco un po' di considerazioni che sono emerse.

In conferenza stampa, il ginecologo Claudio Giorlandino, uno dei promotori della nuova tecnica, ha spiegato i criteri con cui sono state scelte le malattie bersaglio dell'esame: sono tutte patologie gravi, ha detto, che si manifestano alla nascita o entro il primo anno di vita, di origine unicamente genetica e non multifattoriali, di frequenza superiore a un caso ogni 30.000 nati.
Scorrendo l'elenco delle malattie bersaglio, sia Sergio Pistoi che Faustina Lalatta hanno osservato invece che si tratta di un assortimento molto eterogeneo. La lista comprende patologie molto gravi, legate con certezza a variazioni di un singolo gene e relativamente diffuse, accanto ad altre estremamente rare e di impatto clinico modesto. Tra le varianti patogene diagnosticabili con la superamniocentesi, per esempio, ce ne sono alcune di quelle responsabili della distrofia muscolare, ma non tutte. Ci sono varianti le cui manifestazioni cliniche sono imprevedibili e possono avere conseguenze diverse in soggetti diversi.
Webridge via Wikimedia Commons
Pertanto, l'esito negativo dell'esame non garantisce affatto la certezza che il bambino nascerà sano, ma ne riduce il rischio. Ne riduce il rischio più dell'amniocentesi tradizionale, ma comunque in misura non significativa rispetto al rischio complessivo, considerato che nella popolazione generale solo il 3-4% nasce affetto da una malformazione o da una malattia genetica.
Di contro, un responso positivo può significare che il feto è affetto da una patologia grave, oppure da un disturbo lieve, oppure è portatore sano. La consulenza di un genetista per interpretare il risultato positivo è indispensabile, ma potrebbe comunque non essere risolutiva.
A fronte dell'ansia generata da una risposta di questo tipo, quali sono le possibili soluzioni? Per nessuna delle patologie considerate è possibile oggi intervenire in utero. Per alcune giova un trattamento tempestivo alla nascita, come quelle metaboliche, ma per diagnosticarle in tempo utile è sufficiente lo screening neonatale, non occorre quello prenatale, più invasivo e costoso. L'unica scelta che la coppia può fare se il responso è positivo è se interrompere la gravidanza o portarla a termine. E non è facile fare una scelta di questo tipo di fronte a una diagnosi che non da certezze sulle conseguenze cliniche della mutazione identificata. Per fare un esempio: l'esame identifica nel DNA fetale una variante connessa al nanismo, ma che in alcuni individui determina solo una statura leggermente inferiore alla media. La coppia interromperebbe la gravidanza in caso di nanismo grave? E in caso di bassa statura? Come decidere, se l'esame non da indicazioni sulla gravità della manifestazione clinica? (E non può darle, indipendentemente dalla precisione della tecnica)
"Il sequenziamento rapido del DNA umano è utilissimo per indagare sulle cause di una malattia di cui vediamo la manifestazione clinica ma non riusciamo a identificare l'origine", spiega Lalatta. "Per esempio: un bambino manifesta dei sintomi che potrebbero essere dovuti a diverse patologie genetiche. Col sequenziamento rapido completo del suo DNA possiamo arrivare alla diagnosi corretta e intervenire nel modo appropriato. Se applicata in epoca prenatale, a tappeto, in assenza di specifici fattori di rischio, può fornire delle informazioni che non aumentano realmente la conoscenza sulle condizioni di salute del feto, ma generano ansia e alternative indecidibili".
Il verdetto di Sergio Pistoi sulla tecnologia è positivo. "È uno strumento potente ed è un bene che sia a nostra disposizione", osserva. "È un bene che il sequenziamento rapido diventi via via sempre meno costoso e progressivamente diventi uno strumento alla portata di tutti, anche per la diagnostica prenatale per chi decide di farvi ricorso. L'importante è farvi ricorso sapendo veramente di che cosa si tratta, quali sono le sue potenzialità e quali i suoi limiti".

In breve:

È un esame invasivo e costoso, ma per chi non ha problemi economici ed è comunque intenzionato a fare l'amniocentesi, non cambia nulla da questo punto di vista

L'esito negativo non da certezze sulla salute del nascituro. Riduce il rischio di malattie genetiche, più dell'amniocentesi tradizionale, ma in misura non significativa rispetto al rischio complessivo per la popolazione generale.

L'esito positivo può dare la certezza di una patologia grave, oppure può portare alla luce una situazione in cui c'è un problema, ma non se ne conosce la gravità. Sulla base di queste informazioni, la coppia è chiamata a fare una scelta.

Concretamente, l'unica scelta che l'esame permette di fare è se interrompere o portare avanti la gravidanza.


giovedì 13 novembre 2014

Cuore di neve

La malattia vissuta da un bambino, vista da un bambino, con la sua spontaneità e autenticità, e rappresentata da una compagnia teatrale di bambini, la Compagnia dei Piccoli per Caso. È il tema dello spettacolo "Cuore di Neve", in scena al Teatro Ghione, a Roma, dal 18 al 30 novembre.
Al quarto anno di repliche, lo spettacolo scritto da Guido Governale e Veruska Rossi ha riscosso l'apprezzamento della critica e di 15 mila spettatori.
Chiamando il botteghino e dicendo "amici dei Piccoli per Caso", il biglietto (posto unico) per gli adulti è scontato da 28 a 16 euro. I ragazzi sotto i 14 anni pagano 12 euro (posto unico).

martedì 4 novembre 2014

Salute infantile in Italia: c'è ancora tanto da fare

Ibrahim Iujaz via Wikimedia Commons
L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato "Investing in Children", le nuove linee guida strategiche per il periodo 2015-2020, per tutelare la salute di bambini e adolescenti nella regione europea.
La situazione nel nostro continente è eterogenea. Accanto a Paesi, come il nostro, con bassissima mortalità entro i primi 5 anni di vita, ce ne sono altri con una mortalità 25 volte più elevata. E anche nei Paesi in condizioni migliori, non mancano motivi di preoccupazione e problemi da risolvere.
Ho interpellato Milena Lo Giudice, pediatra di famiglia di Palermo e membro della Federazione Italiana Medici Pediatri, per commentare i dati contenuti nel documento e per tracciare una panoramica della situazione italiana.
"È vero che l'Italia è uno dei Paesi al mondo con la più bassa mortalità infantile, entro i primi 5 anni di vita", osserva Lo Giudice, "ma è pur vero che nel Sud Italia la mortalità perinatale, cioè entro i primi 28 giorni di vita, è doppia rispetto al Nord Italia. Cioè il bimbo che nasce al Nord ha il doppio della probabilità di sopravvivere rispetto al bimbo che nasce al Sud. Una situazione, evidentemente intollerabile, che dipende dalla maggior presenza nelle Regioni del Sud di molti centri nascita di piccole dimensioni, da meno di 500 parti all'anno. Venire alla luce in una di queste strutture non offre le stesse garanzie di sicurezza rispetto alle strutture più grandi, da 1000 e più parti all'anno".
C'è poi la nota dolente delle coperture vaccinali. "Il nostro Paese è uno di quelli con le più elevate coperture vaccinali in Europa, ma negli ultimi anni la diffusione incontrollata di notizie false sulla pericolosità dei vaccini ha spinto tante famiglie a perdere fiducia nei confronti di questo importantissimo strumento di prevenzione, con il risultato che le coperture vaccinali stanno calando sensibilmente in tutta Italia", dice la pediatra. "C'è il rischio concreto che nei prossimi anni tornino a verificarsi anche da noi epidemie di morbillo, una malattia infettiva potenzialmente mortale e invalidante, prevenibile con la vaccinazione".
Al riguardo, nel documento dell'OMS si legge che in Europa ogni anno un milione di bambini non riceve le vaccinazioni previste. Negli ultimi 3 anni nel continente sono stati riportati oltre 90.000 casi di morbillo e 70.000 di rosolia.
Magnus Fröderberg via Wikimedia Commons
C'è poi il capitolo della prevenzione delle malattie non trasmissibili, legate ad alimentazione e stile di vita. La ricerca medica ha dimostrato l'importanza dell'allattamento al seno e dell'impostazione di corrette abitudini alimentari nei primi anni di vita per la salute futura del bambino. "In Italia il 70-75% delle donne allatta al seno il proprio bimbo a tre mesi dalla nascita", osserva Lo Giudice. "È una buona percentuale, se si pensa che alcuni decenni fa l'allattamento materno era stato messo in ombra da quello artificiale, ma si può fare molto meglio di così. Quella che manca è la cultura dell'importanza di questo gesto, tanto è vero che ad allattare al seno sono soprattutto le madri con un livello più elevato di istruzione. Per quanto riguarda l'impostazione di corrette abitudini alimentari, nel nostro Paese è la televisione a remare contro, proponendo ai bambini martellanti pubblicità di merendine e alimenti ipercalorici. Anche in questo caso, la battaglia da combattere è quella dell'informazione corretta".
A un'alimentazione ipercalorica si affianca la sedentarietà. "Nelle città italiane ci sono pochi spazi a disposizione dei bambini per il gioco libero all'aria aperta", commenta la pediatra, "e le palestre, le attività sportive organizzate, sono spesso troppo costose per le tasche delle fasce di popolazione svantaggiate dal punto di vista economico. La crisi ha peggiorato la situazione negli ultimi anni".
Il documento dell'OMS segnala poi il grave problema degli abusi e dei maltrattamenti ai danni dei minori. "Il pediatra di famiglia può e deve essere un'antenna sociale in questo ambito", dice Lo Giudice. "Deve captare i segni di sofferenza nei piccoli assistiti in occasione delle visite e dei bilanci di salute e segnalare le situazioni sospette o quelle evidenti alle forze dell'ordine. Occorre in questo campo maggiore interazione tra strutture di pronto soccorso, pediatri di famiglia e scuole, per identificare i bambini vittima di maltrattamenti e abusi".
Infine, ma non meno importante, c'è la questione dei cosiddetti bambini invisibili. Sono minori, spesso figli di migranti irregolari o di nomadi, che non vengono registrati al Servizio Sanitario Nazionale, non hanno un pediatra di famiglia, non fanno bilanci di salute, controlli, non vengono vaccinati, non vanno a scuola. "Sono tanti anche in Italia", dice Lo Giudice. "Si pensi che in diverse Regioni italiane, i bambini figli di migranti non regolari hanno diritto alle cure al pronto soccorso, alle vaccinazioni, ma non al pediatra di famiglia. È una palese violazione della carta dei diritti del fanciullo, che l'Italia ha sottoscritto. Anche laddove hanno il diritto al pediatra di famiglia, spesso non ne usufruiscono perché le famiglie non vogliono venire allo scoperto, oppure perché non sono informate o ancora perché considerano i servizi sociali come una minaccia e non come un aiuto. In alcune Regioni, come la Sicilia, è prevista l'iscrizione all'elenco dei pediatri di famiglia in occasione del primo accesso del bambino al pronto soccorso, oppure all'arrivo in Italia, nel caso di minori migranti, per intercettarne il maggior numero possibile".

Le cifre dell'endometriosi

Ⅿeagan from Tulsa via Wikimedia Commons
La settimana scorsa, il Policlinico Gemelli di Roma ha ospitato il convegno internazionale "Adenomyosis - Deep Endometriosis - Ovarian Reserve" sull'endometriosi, una delle più diffuse patologie ginecologiche, che interessa il 7-10% delle donne in età riproduttiva. Consiste nella presenza di porzioni di endometrio, la mucosa che riveste internamente l'utero, in sedi diverse dalla cavità uterina, per esempio nelle ovaie, nelle tube, nella vescica, nel retto. Queste porzioni di endometrio fuori posto sono soggette all'azione degli ormoni sessuali femminili come l'endometrio uterino e vanno incontro a sfaldamento e sanguinamento ciclico in concomitanza con le mestruazioni, provocando infiammazione e dolore.
Ecco alcune cifre emerse dal convegno:
  • soffre di endometriosi il 25-50% delle donne sterili
  • ne soffre il 60% delle donne con dismenorrea, cioè con dolore associato alle mestruazioni
  • dal 30 al 50% delle donne con endometriosi è sterile
  • la terapia farmacologica volta a impedire il sanguinamento delle porzioni anomale di endometrio non ha alcun effetto sulla sterilità da endometriosi
  • al contrario la terapia chirurgica, cioè la rimozione delle porzioni di endometrio fuori posto, aumenta le probabiltà di gravidanza sia nei casi di endometriosi lieve associata a sterilità, sia nei casi più severi

lunedì 3 novembre 2014

Il Piemonte passa dal Pap test al test HPV

Laboratory of Tumor Virus Biology - NIH via Wikimedia Commons
La Regione Piemonte ha sostituito il tradizionale Pap test come esame di screening per la prevenzione del tumore al collo dell'utero con il test per l'HPV. Le donne di età compresa tra 30 anni e 64 anni residenti nella Regione, che fino a pochi mesi fa venivano invitate a presentarsi ogni tre anni agli ambulatori del servizio sanitario pubblico per effettuare il Pap test di routine, ora verranno invitate ogni cinque anni negli stessi centri a effettuare il nuovo esame. Per ragioni organizzative, il passaggio dalla vecchia alla nuova routine verrà completato nel corso dei prossimi cinque anni.
Il Pap test, o test di Papanicolau, consiste nel prelievo di poche cellule di mucosa del collo dell'utero, con un bastoncino simile a un cotton fioc, e nella successiva analisi al microscopio del campione per evidenziare eventuali mutazioni pretumorali innescate dal Papillomavirus umano.
Il Papillomavirus, o HPV, è riconosciuto come unica causa del cancro al collo dell'utero, ma contrarre l'infezione non è sufficiente per sviluppare il tumore. Se il sistema immunitario non riesce a eliminare il virus e questo persiste a lungo, per anni, nelle cellule della mucosa cervicale, può indurre nel DNA delle stesse cellule delle mutazioni che determinano la loro proliferazione incontrollata.
Il Pap test permette di individuare le lesioni pretumorali con largo anticipo, prima che evolvano in forme invasive, e quindi intervenire per rimuoverle con il minimo danno e il minimo rischio. Si è dimostrato fino ad ora un'arma efficacissima per ridurre drasticamente l'incidenza e la mortalità del tumore della cervice uterina.
Il test per l'HPV, di recente introduzione, si effettua con le stesse modalità, ma il campione di materiale biologico non viene osservato al microscopio alla ricerca di mutazioni. Viene analizzato automaticamente da una macchina che identifica nelle cellule l'eventuale presenza di DNA virale dei ceppi ad alto rischio tumorale del Papillomavirus. L'esame serve dunque a diagnosticare l'infezione in corso e solo le infezioni imputabili a un ceppo potenzialmente cancerogeno.
Chi riceve una diagnosi negativa non ha nulla da temere, perché in assenza del virus non può sviluppare lesioni, dunque non deve sottoporsi a Pap test e può aspettare cinque anni prima di ripetere il test per l'HPV.
Il risultato positivo non equivale a una diagnosi di lesione tumorale o pretumorale, ma segnala una condizione di rischio. Chi riceve una diagnosi di infezione in corso deve sottoporsi a Pap test, per verificare che il virus non abbia fatto danni. Se il Pap test è negativo, viene chiamata a ripetere ogni anno HPV e Pap test fino a quando il test per il virus non torna a risultare negativo, segno che il sistema immunitario si è sbarazzato dell'HPV.
La nuova routine consente di allungare l'intervallo tra un esame e l'altro da tre a cinque anni per le donne che hanno esito negativo e di identificare con maggiore anticipo i casi a rischio per seguirli con più attenzione. L'importante è sapere che la positività al test HPV non è una diagnosi di malattia e neppure implica necessariamente la successiva insorgenza della malattia. L'evoluzione da Papillomavirus a tumore è comunque un'eventualità rara, che può essere arrestata proprio grazie a un controllo attento.
Il passaggio dallo screening con Pap test al nuovo screening con HPV test riguarda solo le donne sopra i 30 anni. Quelle di età complresa tra i 25 e i 29 anni continueranno a essere invitate a fare il Pap test ogni tre anni. Nella loro fascia d'età, infatti, le infezioni da HPV sono più frequenti e nella maggioranza dei casi si risolvono spontaneamente in pochi mesi senza alcuna conseguenza.

sabato 25 ottobre 2014

HPV: le tue domande, le risposte degli specialisti


Ho il piacere di presentarvi il primo dossier di Mammifera Digitale. Più breve di un libro, più corposo di un articolo: è un manualetto a domande e risposte dedicato al Papillomavirus umano.
Otto donne su dieci nel corso della loro vita contraggono un'infezione da Papillomavirus, o HPV, una famiglia che comprende oltre 120 tipi virali, di cui una quarantina a trasmissione sessuale. Nella maggioranza dei casi l'infezione è asintomatica, non provoca danni e si risolve spontaneamente nell'arco di pochi mesi. In determinate circostanze, però, il virus può cronicizzare e, con il passare del tempo, innescare mutazioni pretumorali nelle cellule della mucosa del collo dell'utero. L'HPV è riconosciuto come causa unica del tumore del collo dell'utero ed è coinvolto nell'insorgenza di altre forme tumorali più rare.
Oggi disponiamo di tre strumenti efficaci per prevenire la maggior parte delle infezioni da Papillomavirus cancerogene e per identificare con ampio margine di tempo i casi a rischio: il vaccino, il test HPV e il Pap test. Come si usano questi strumenti? Che significato ha una diagnosi di Papillomavirus ad alto rischio? Quali precauzioni deve adottare chi risulta positiva? C'è un test anche per l'uomo? Il vaccino è efficace? È sicuro?
A queste e altre domande rispondono Ettore Calzolari, ginecologo di Roma, già direttore dell'Ambulatorio per le Infezioni Ginecologiche e la Patologia Cervico-Vaginale del Dipartimento di scienze ginecologiche dell'Università di Roma La Sapienza; Cristina Giambi, ricercatrice del Reparto di Epidemiologia delle Malattie Infettive del Centro Nazionale Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute dell'Istituto Superiore di Sanità; Carlo Liverani, ginecologo oncologo della Clinica Mangiagalli di Milano e consulente dell'Associazione per lo Studio delle Malformazioni; Marco Zappa, direttore dell'Osservatorio Nazionale Screening, presso l'Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica di Firenze.
Il dossier si intitola "HPV: le tue domande, le risposte degli specialisti"

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e qui potete acquistarlo a 1,49 euro per Android
 
Per i prossimi mesi ho già in cantiere altri dossier su argomenti di attualità nel campo della salute femminile, materna e infantile.

mercoledì 22 ottobre 2014

Social freezing, ovvero: meglio una gravidanza oggi o un ovocita congelato domani?

Sean McGrath via Wikimedia Commons
Facebook e Apple offrono alle dipendenti un aiuto economico per congelare i propri ovociti per uso futuro, così che possano concentrarsi sul lavoro oggi e rimandare la ricerca di una gravidanza a domani. La notizia è apparsa su tutti i giornali.
È il cosiddetto "social freezing", cioè il congelamento degli ovociti motivato non da una patologia che rischia di compromettere la fertilità femminile, ma dalla volontà di rinviare la ricerca di un figlio per motivi sociali. Nei convegni di medicina della riproduzione se ne parla già da tempo e negli Stati Uniti la pratica è diffusa.
Negli ultimi anni la crioconservazione dei gameti femminili ha fatto grandi progressi e oggi le donne che devono affrontare una terapia oncologica, oppure un trattamento chirurgico dell'endometriosi, o ancora quelle che rischiano una menopausa precoce, possono salvaguardare la propria capacità di procreare sottoponendosi a uno o più cicli di stimolazione ovarica e congelando una scorta di ovociti.
Se il prelievo viene fatto sotto i 30 anni di età, quando le cellule sono di qualità genetica più elevata e la riserva ovarica è maggiore, il congelamento e il successivo utilizzo di 6 ovociti consente in media una probabilità del 30% di portare a termine con successo una gravidanza.
Benché la crioconservazione dei gameti sia una risorsa preziosa per chi rischia di perdere la fertilità per motivi di salute, il social freezing non può essere considerato una valida alternativa ad avere dei figli in età fertile e non solo per le ridotte probabilità di successo della fecondazione, ma anche per il rischio di complicazioni che una gravidanza in età avanzata comporta, spiega Filippo Maria Ubaldi, direttore clinico del Centro Genera della Clinica Valle Giulia di Roma.
Per saperne di più delle tecniche di crioconservazione egli ovociti, di stimolazione e prelievo delle cellule, delle reali possibilità di riuscita e delle indicazioni mediche, gli specialisti del Centro Genera hanno realizzato una guida a domande e risposte scaricabile dal sito www.generaroma.it oppure direttamente da qui.

martedì 21 ottobre 2014

#5azioni: diabete e nuove tecnologie


Oggi, martedì 21 ottobre, alle ore 15, potrete partecipare in diretta al quinto appuntamento con #5azioni, l'iniziativa di Sanofi per sensibilizzare, informare e raccogliere storie e opinioni sul diabete.
Il titolo dell'hangout di oggi è: il futuro già presente, diabete e tecnologia. Il confronto prenderà il via dall'esperienza di Daniela D'Onofrio, che dal 2006 cura portalediabete.org
Alla conversazione parteciperanno, come sempre, endocrinologi e rappresentanti di associazioni di pazienti e familiari. Il pubblico potrà intervenire via Twitter, usando #5azioni e @5azioni
Al termine della diretta, potrete rivedere l'intero filmato qui e sul sito www.5azioni.it.
Mammifera Digitale ha ospitato incontri precedenti di #5azioni qui (diabete e alimentazione) e qui (diabete gestazionale e diabete infantile).


La stagione delle infezioni

Noam, Jemima & Lila via Wikimedia Commons
Le scuole hanno riaperto da un mese e ci sono bambini che hanno già iniziato a collezionare assenze per le infezioni ricorrenti. A fine estate ne ho parlato qui.
Tosse, asma, respiro sibilante, rinite e febbre sono i sintomi più comuni delle infezioni che per alcuni si susseguono a ritmo serrato per tutto l'anno scolastico. Più vulnerabili sono i piccoli, che stanno ancora sviluppando le loro competenze immunitarie, ma in generale sono esposti al rischio tutti i bimbi che fanno vita di comunità in un luogo chiuso e scambiano con i coetanei virus e batteri.
Fattori che contribuiscono al rischio di infezioni ricorrenti sono muffe e acari nei locali di scuole e asili, che favoriscono le infiammazioni respiratorie, e la minore esposizione al sole, dunque la minore produzione di vitamina D, che ha un ruolo importante nella risposta immunitaria.
"Qualcosa si può e si deve fare per aiutare questi piccoli", osserva Giorgio Piacentini, responsabile dell'Unità operativa semplice di Broncopneumologia della Cinica Pediatrica dell'Università di Verona. "In primo luogo, non è giusto privare i bimbi della loro vita sociale tenendoli a casa se non è necessario, ma quando sono ammalati bisogna aspettare la completa guarigione prima del rientro a scuola, nell'interesse loro e dei compagni".
A casa, bisogna rimuovere dall'ambiente domestico muffe e polvere e combattere gli acari rivestendo cuscini, materassi e imbottiture con le apposite fodere, proteggere i bambini dal fumo di seconda e terza mano, curare la loro alimentazione per prevenire obesità e sovrappeso, che hanno effetti negativi sul sistema respiratorio. L'attività fisica non è controindicata in presenza di infezioni ricorrenti. Al contrario, giova alla salute generale. L'importante è scegliere l'attività giusta, chiedendo consiglio al pediatra.
Talvolta, se il pediatra lo reputa opportuno, si può integrare l'alimentazione con un'aggiunta di vitamina D. "Infine, in alcuni casi caratterizzati da asma persistente e respiro sibilante, il medico può prescrivere al piccolo paziente una terapia di supporto a lungo termine a base di corticosteroidi per via inalatoria e antileucotrienici", conclude Renato Cutrera, responsabile dell'Unità Operativa Complessa di Broncopneumologia dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.

venerdì 10 ottobre 2014

L'eterologa oggi in Italia

Canwest News Service via Wikimedia Commons
Ecco il punto sulla situazione attuale dell'eterologa in Italia, commentato da Andrea Borini, presidente della Società Italiana di Fertilità e Sterilità.

Il 9 aprile 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità del divieto di eterologa contenuto nella legge 40/2004.

Il 4 settembre scorso, la Conferenza delle Regioni e Province Autonome ha definito un accordo interregionale sulle modalità di accesso alla fecondazione eterologa su tutto il territorio nazionale, accordo che è stato poi recepito dalle singole Regioni e Province Autonome.

In base all'accordo, la donazione di gameti maschili o femminili è atto gratuito, volontario e non retribuito, neppure con un rimborso spese. "Questo punto crea qualche problema", osserva Borini. "Negli altri Paesi europei non è previsto un compenso, ma un rimborso spese a volte anche sostanzioso. Nel caso degli ovociti, sarà difficile trovare delle donatrici volontarie disposte a sottoporsi a esami, assunzione di farmaci e a perdere diversi giorni lavorativi senza alcuna forma di rimborso. Inoltre, il documento stabilisce che i gameti possano essere acquisiti da istituti stranieri solo se i donatori sono stati reclutati con le stesse modalità previste in Italia. Poiché all'estero i donatori ricevono sempre un rimborso, di fatto non è possibile utilizzare nel nostro Paese gameti provenienti da fuori. C'è infine un ultimo punto non chiaro: chi paga le spese degli esami e dei farmaci per i donatori? Nel privato il costo viene addebitato alla coppia ricevente. Nel pubblico ancora non è stato deciso. È impensabile che i donatori, oltre a donare gratuitamente, debbano accollarsi il ticket di esami e farmaci necessari".

Possono fare ricorso all'eterologa coniugi o conviventi di sesso diverso, maggiorenni e in età potenzialmente fertile (per la donna non oltre i 50 anni), per i quali sia accertata e certificata una patologia che sia causa irreversibile di sterilità, oppure portatori di un difetto genetico significativo o, per il partner maschile, di infezione sessualmente trasmissibile che non può essere eliminata.
Nina Matthews via Wikimedia Commons

La donazione è consentita a donatrici di età compresa tra 20 e 35 anni e donatori di età compresa tra 18 e 40 anni. Il testo dell'accordo interregionale prevede una serie di esami e valutazioni di donatori e donatrici prima di autorizzare la donazione. "Questa parte del testo contiene due elementi problematici", dice Borini. "Innanzi tutto possono essere accettate donazioni solo da uomini il cui liquido seminale sia superiore, quanto a concentrazione e motilità degli spermatozoi, al 50° percentile dei valori di riferimento dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. L'OMS considera normale il liquido seminale con valori superiori al 25° percentile. In altre parole, in Italia non è sufficiente che un uomo sia normalmente fertile per poter donare. Deve essere super fertile. Questa limitazione, ovviamente restringe il numero dei potenziali donatori".
C'è poi una restrizione che riguarda le donatrici di ovociti. "Devono essere sottoposte a tampone vaginale con ricerca di Neisseria gonorrhoeae, Micoplasma hominis, Ureaplasma urealyticum e Chlamydia trachomatis prima della donazione. Questo specifico esame non è di alcuna utilità, perché un'eventuale infezione non avrebbe conseguenze per gli ovociti donati. Di contro, impedisce l'utilizzo di tutti gli ovociti già prelevati e conservati nei diversi centri italiani, perché alle donatrici di quelle cellule non è stato fatto il tampone vaginale all'epoca del prelievo. Sono migliaia di ovociti che, con il consenso delle dirette interessate, potrebbero essere impiegati per fecondazioni eterologhe e invece andranno persi. Inoltre, per la stessa ragione, i centri italiani non possono usare ovociti provenienti dall'estero, dove non viene fatto di routine alcun tampone vaginale".

Concludendo, la situazione attuale in Italia per quanto riguarda l'accesso all'eterologa è:

L'eterologa si può fare: è legale anche in assenza di una nuova legge nazionale sulla PMA.

Attualmente non risulta che siano in corso gravidanze ottenute da eterologa, ma è stata avviata la fase della presa in carico e dei controlli alle coppie in diversi centri pubblici e privati.

C'è disparità tra Regione e Regione per quanto riguarda i costi dell'eterologa nei centri pubblici e non è ancora chiaro chi debba pagare i costi della donazione.

I donatori di gameti maschili non mancano. Le possibili donatrici di gameti femminili al momento sono donne sottoposte loro stesse a trattamenti di PMA che per solidarietà con altre coppie accettano di cedere gli ovociti prodotti in sovrappiù.

Sono previsti alcuni incentivi non economici alla donazione. Per esempio, se una coppia che aspira a ricevere si presenta al centro per la PMA con un'amica disposta a donare i propri ovociti, gli ovociti offerti vengono utilizzati dalla prima coppia in lista d'attesa in quel momento e l'amica della donatrice ne prende il posto, diventando a sua volta prima in lista d'attesa.

La donazione è anonima, ma i centri che effettuano i trattamenti mantangono la documentazione relativa a tutti i donatori e i nati, per consentire la tracciabilità in caso di futuri problemi medici del nato.

A causa delle varie restrizioni che riducono la disponibilità di gameti, oggi in Italia le liste d'attesa sono molto lunghe, sia nel pubblico che nel privato, tanto che molte coppie tuttora preferiscono andare all'estero.








giovedì 9 ottobre 2014

La PMA non è un passepartout

Sean McGrath via Wikimedia Commons
Nell'immaginario collettivo la procreazione medicalmente assistita ha assunto il connotato di un passepartout: se una coppia non riesce ad avere un figlio entro un certo lasso di tempo, inutile affannarsi a fare tante analisi per comprenderne le cause, tanto c'è la PMA che scavalca il problema. Come se si trattasse di una singola tecnica valida per tutte le coppie, applicabile in automatico. Non è così e i progressi della ricerca nel settore vanno nella direzione opposta, quella della personalizzazione.
Ne hanno parlato di recente gli specialisti della Società Italiana di Endoscopia Ginecologica, della Società Italiana di Fertilità e Sterilità e della Società Italiana Ospedaliera Sterilità, riuniti a Maratea dal 2 al 4 ottobre.
"La legge 40 stabilisce che la PMA sia il punto di arrivo di un percorso diagnostico e di cura", osserva Sergio Schettini, presidente della Società Italiana di Endoscopia Ginecologica e direttore del Centro PMA dell'AO San Carlo di Potenza. "Ma non ci voleva certo una legge dello Stato per indicare ai medici quello che già prescrive la buona pratica clinica. Quando una coppia non riesce a concepire, sono tante le variabili in gioco di cui tenere conto. Prime tra tutte l'età dell'aspirante madre, il suo indice di massa corporea, stato di salute generale e assunzione di farmaci, pregressi interventi chirurgici, la sua riserva ovarica. È importante diagnosticare con la massima precisione possibile la patologia responsabile della sterilità, perché talvolta è possibile risolvere il problema con approcci diversi dalla fecondazione assistita: una terapia farmacologica oppure un intervento chirurgico che rendono possibile poi il concepimento spontaneo".
Anche nel caso in cui la valutazione del medico indirizzi la coppia verso la PMA, avere un quadro dettagliato della situazione fa la differenza quanto a probabilità di riuscita e rischio di complicanze. "Età della donna e riserva ovarica, per esempio, influiscono sulla programmazione dei tempi per il trattamento", spiega Schettini, "ma anche sulla scelta dei farmaci per la stimolazione e sul dosaggio. Negli ultimi anni in Italia le tecniche di procreazione assistita si sono sempre più affinate in tal senso. Inoltre, valutare con attenzione tutte le variabili in gioco permette al medico di informare correttamente la coppia sulle probabilità di successo, perché non sempre l'obiettivo è raggiungibile e non è eticamente onesto illudere gli aspiranti genitori".

giovedì 2 ottobre 2014

Celiachia e svezzamento: il momento giusto per il glutine

Nabeel Hyatt via Wikimedia Commons
C'è un modo giusto di introdurre gli alimenti in fase di svezzamento che riduce al minimo il rischio che il bambino sviluppi celiachia? Se lo chiedono le mamme che hanno in famiglia casi di intolleranza al glutine e se lo chiedono anche tutte le altre, visto che oggi di celiachia si parla tanto e le famiglie sono più sensibili all'argomento.
In passato gli specialisti hanno avanzato ipotesi opposte: che l'introduzione precoce del glutine nella dieta dei bambini avesse un effetto protettivo, oppure che al contrario fosse meglio ritardare il primo contatto con il glutine a dopo l'anno di vita. Ora uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine e coordinato da Carlo Catassi, dell'Università Politecnica delle Marche e Alessio Fasano, del Massachusetts General Hospital for Children, fa più chiarezza sulla questione.
Gli autori hanno seguito dalla nascita per 10 anni oltre 700 bambini, per valutare se l'allattamento artificiale e l'introduzione precoce o tardiva del glutine nella dieta siano fattori di rischio o meno per lo sviluppo della celiachia. Ecco i risultati.

Il principale fattore di rischio per l'intolleranza al glutine è la presenza nel DNA del gene mutato HLA-DQ2 in doppia copia. La mutazione raddoppia la probabilità di insorgenza della celiachia rispetto a chi non la possiede.

Per i bambini ad alto rischio, cioè i portatori di questa mutazione, l'introduzione tardiva del glutine nella dieta, dopo l'anno di età, ha un effetto protettivo significativo.

Per tutti gli altri bambini, l'età di introduzione di pastine e biscotti nella dieta non cambia nulla.

La tipologia di allattamento, al seno o artificiale, non fa alcuna differenza ai fini del rischio né per i bambini che possiedono la mutazione né per quelli che non la possiedono.

I bambini ad alto rischio di celiachia, possessori di entrambe le copie mutate del gene, che sviluppano la malattia, la sviluppano nell'80% dei casi entro i tre anni di età e nella quasi totalità dei casi entro i 5-6 anni.

Al momento non sono previsti screening alla nascita per la mutazione HLA-DQ2, ma secondo gli autori l'esame potrebbe essere utile almeno in presenza di altri casi di celiachia in famiglia.



mercoledì 1 ottobre 2014

Poca informazione sulle cause dell'infertilità

Torsten Mangner via Wikimedia Commons
Nel 2013 sono nati in Italia 514.308 bambini. Mai così pochi nella storia del nostro Paese. Il tasso di natalità è calato da 9 nati per 1.000 abitanti dell'anno precedente a 8,5 nati per 1.000 abitanti del 2013. La causa principale della denatalità è la crisi economica, che priva le coppie dei mezzi per progettare un allargamento della famiglia, secondo i risultati dello studio "Diventare genitori oggi", presentato al pubblico dal Censis.
Anche l'infertilità, però, gioca un ruolo importante. Oggi il 15% delle coppie alla ricerca di una gravidanza sperimenta problemi e ritardi di concepimento, ma sull'argomento l'informazione è scarsa: il 15% degli interpellati dal Censis dichiara di non sapere nulla di fertilità e infertilità, il 45% dichiara di saperne poco.
Infatti, interrogati sulle  cause più frequenti di infertilità, 4 italiani su 10 citano lo stress, seguito dai problemi strutturali dell'apparato riproduttivo femminile (21,3%), dai problemi ormonali e ovulatori (14,7 %), da problemi che riguardano l'uomo (11%) e in particolare problemi di qualità del liquido seminale (5,7%).
Tra le cause viene trascurata l'età dell'aspirante madre. Secondo il 46% degli intervistati, ci si dovrebbe preoccupare di non avere ancora un figlio non prima dei 35 anni di età della donna.  L'età della prima gravidanza si è progressivamente spostata in avanti negli ultimi anni e manca la percezione del fatto che questa tendenza ha influenze negative sulla fertilità delle aspiranti mamme.
Inoltre, tra le cause di infertilità vengono trascurate abitudini non salutari sia dell'uomo che della donna, come il fumo di tabacco, l'abuso di alcol, un'alimentazione errata con sovrappeso e alterazioni metaboliche, la sedentarietà e le infezioni sessualmente trasmesse non adeguatamente trattate, che possono provocare danni permanenti all'apparato riproduttivo femminile, come fa per esempio la clamidia.
Proprio oggi, mentre il Censis presentava i risultati dello studio, il Ministro della Salute annunciava la formazione del "Tavolo consultivo in materia di tutela e conoscenza della fertilità e prevenzione delle cause di infertilità", ideato con lo scopo di diffondere una maggiore conoscenza dei meccanismi della fertilità, soprattutto tra i più giovani.

venerdì 26 settembre 2014

4 genitori su 10 hanno paura dei vaccini

Grook Da Oger via Wikimedia Commons
Le malattie infettive più temute dai genitori italiani sono la meningite, il tetano e la polio, seguite da morbillo, pertosse e varicella. "Tuttavia, nonostante i vaccini siano il mezzo di prevenzione ideale contro queste patologie, per la maggior parte di mamme e papà sono oggetti misteriosi. Poco informati su efficacia e sicurezza di questi presidi della prevenzione, i genitori finiscono a volte per credere alle tante dicerie che circolano sull'argomento", osserva il pediatra Giuseppe Mele, presidente dell'Osservatorio Paidòss.
In occasione del I Forum dell'Infanzia, organizzato da Paidòss e in corso in questi giorni a Napoli, l'Osservatorio ha pubblicato i risultati di una ricerca condotta su 105 famiglie e 225 pediatri di famiglia. Dalle risposte degli interpellati risulta che il 5% dei genitori considera i vaccini inefficaci, il 23% teme effetti indesiderati immediati della somministrazione, il 18% teme danni a lungo termine. Dato ancor più allarmante: il 10% dei pediatri interpellati non è convinto dell'efficacia e della sicurezza delle vaccinazioni e non le raccomanda ai suoi assistiti.
I risultati di tanto allarmismo si fanno vedere. È di questi giorni la pubblicazione da parte del Ministero della Salute dei dati sulle coperture vaccinali a 24 mesi di età, relativi al 2013. Li trovate nei dettagli qui.
Le percentuali di copertura sono in calo per tutte le vaccinazioni raccomandate, con valori che toccano il livello più basso degli ultimi 10 anni. Le coperture nazionali contro poliomielite, tetano, difterite, epatite B e pertosse sono di poco al di sopra del 95%, che è la soglia minima necessaria per impedire la circolazione del virus nella popolazione. Quella contro l'Haemophilus influenzae b è al 94,5%, sotto la soglia minima. La copertura per morbillo, parotite e rosolia è calata dal 90% del 2012 all'88,1% del 2013.

martedì 23 settembre 2014

Alcol in gravidanza: perché no

Il manifesto della campagna Too Young To Drink, per il 9 settembre scorso
Il 9 settembre scorso è stata celebrata la Giornata mondiale di sensibilizzazione sulla sindrome feto-alcolica, cioè sui danni che il consumo di alcol in gravidanza può fare al nascituro. Il 20 ottobre prossimo si terrà a Roma il terzo convegno europeo sull'argomento. A cavallo tra queste due scadenze, ricordiamo un po' di fatti e di dati sul FASD, il fetal alcohol spectrum disorder.

  • L'alcol bevuto dalla gestante attraversa la placenta e raggiunge il feto nella stessa concentrazione presente nel sangue materno, con la differenza che il nascituro non possiede gli enzimi che permettono di metabolizzarlo, cioè di scinderlo in molecole non dannose. Tutto l'alcol assorbito dall'organismo fetale raggiunge il suo cervello e altri tessuti e organi in via di sviluppo. 
  • Cervello, cuore, apparato scheletrico e altri organi vitali prendono forma nei primi 15 giorni dal concepimento, quando è maggiore la probabilità che la futura mamma non sappia di essere incinta. È questa la fase in cui l'assunzione di alcol può fare più danni. Ecco perché gli esperti raccomandano alle donne che stanno tentando di concepire di non assumere alcol in via precauzionale.
  • Si parla di spettro dei disordini feto-alcolici perché le conseguenze dell'esposizione all'alcol nella vita intrauterina possono essere diverse per natura e gravità: difetti fisici, soprattutto malformazioni cranio-facciali, rallentamenti di crescita, parti prematuri, alterazioni dello sviluppo neurologico con ritardo mentale, disturbi dell'apprendimento e problemi comportamentali.
  •  Il consumo medio di 3 o più bicchieri al giorno di birra o vino aumenta anche il rischio di aborto spontaneo, soprattutto nel secondo trimestre di attesa.
  • Si calcola che nel mondo circa 70 milioni di persone, l'1% della popolazione, soffra delle conseguenze dell'esposizione all'alcol in utero, anche se non è facile fare un conto preciso, dal momento che le manifestazioni della sindrome feto-alcolica talvolta sono molto sfumate.
  • Gli effetti dell'esposizione all'alcol sono proporzionali alla quantità di alcol assunto, alla continuità dell'assunzione e variano a seconda della fase della gravidanza in cui avviene l'assunzione. 
  • Poiché non è stata individuata una soglia minima di sicurezza dell'assunzione degli alcolici e poiché il rischio di sindrome feto-alcolica è prevenibile al 100% rinunciando del tutto agli alcolici in gravidanza, gli specialisti raccomandano l'astensione assoluta durante i tentativi di concepimento, la gravidanza e l'allattamento al seno.



sabato 20 settembre 2014

Influenza 2014-2015


Il Ministero della Salute ha pubblicato come ogni anno la circolare con le informazioni e le raccomandazioni sulla prossima stagione influenzale. La trovate qui.
Gli osservatori dell'Organizzazione Mondiale della Sanità hanno identificato i ceppi virali che con alta probabilità circoleranno nei prossimi mesi qui da noi e in tutto l'emisfero settentrionale: sono gli stessi del 2013-2014. Anche la composizione del vaccino è quindi immutata rispetto a quella dell'anno scorso.
"Il fatto che i ceppi virali attesi siano gli stessi della stagione influenzale passata non vuol dire che sia inutile vaccinarsi", spiega Stefania Salmaso, direttrice del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto Superiore di Sanità. "L'immunità offerta dal vaccino è di breve durata e quella acquisita un anno fa non è in grado di proteggere dal contagio quest'anno. Chi nel 2013-2014 si è ammalato è tuttora immune, ma solo al ceppo virale che lo ha infettato. È vulnerabile agli altri due ceppi che presto saranno in circolazione".
A chi è raccomandata la vaccinazione? Alle stesse categorie dell'anno scorso: bambini sopra i 6 mesi e adulti affetti da malattie croniche che comporterebbero un maggior rischio di complicazioni in caso di influenza, tutti gli over 65, il personale sanitario e quanti lavorano a contatto con il pubblico, le mamme in attesa al II e III trimestre di gravidanza. In gravidanza la vaccinazione non è raccomandata nel I trimestre per ragioni di prudenza, trattandosi del periodo più delicato dello sviluppo degli organi del nascituro. Tuttavia, la letteratura medica non riporta casi di malformazione o interruzione della gravidanza provocati da vaccinazione antinfluenzale fatta nel I trimestre. Quindi, se una donna si vaccina e poi scopre di aspettare un bambino, non ha ragioni di temere conseguenze negative per la salute del nascituro.
Per le categorie a rischio elencate nel documento del Ministero il vaccino è gratuito. "Chiunque altro voglia vaccinarsi può farlo a pagamento", osserva Salmaso. "In particolare, i genitori dei bambini sani che vogliono risparmiare ai figli il fastidio e i rischi dell'influenza possono rivolgersi al pediatra o all'ambulatorio vaccinale di zona e chiedere la vaccinazione".
Il vaccino sarà disponibile in farmacia e nei centri vaccinali a ottobre e il periodo consigliato per la somministrazione va da metà ottobre fino a fine dicembre.

venerdì 19 settembre 2014

Scuola: 5 regole per una merenda perfetta

SKopp via Wikimedia Commons
Si torna a scuola! Che cosa mangiano per merenda i vostri bambini? Giuseppe Morino, responsabile dell'Untà Operativa di Dietologia Clinica dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, illustra le 5 regole da seguire per offrire ai piccoli lo spuntino ideale di mezza mattinata.

1. La merenda è necessaria per spezzare le ore di digiuno tra la colazione e il pranzo. Meglio quindi non saltarla. Aiuta a prevenire il calo del livello di attenzione e del tono dell'umore tipico della tarda mattinata.

2. Non deve sostituire la colazione. Il bambino va incoraggiato a fare colazione al mattino e non a saltarla per poi rifarsi con una merenda più abbondante. Sono due pasti differenti.

3. Deve contenere prevalentemente carboidrati, cioè energia a rapido consumo: frutta, yogurt, fette biscottate, merendine non farcite, frollini, un pezzetto (40 grammi circa) di pizza rossa. L'apporto calorico dovrebbe essere di 100-125 calorie per un bambino di 6 anni.

4. Deve contenere pochi grassi, altrimenti la digestione risulta troppo impegnativa, a discapito dell'attenzione. Meglio evitare, quindi, merendine farcite e panini imbottiti.

5. Non deve essere troppo abbondante, per non guastare l'appetito dei piccoli in vista del pranzo.

giovedì 11 settembre 2014

Futuri papà: la loro salute può condizionare quella del nascituro

Andreas Bohnenstengel via Wikimedia Commons
Alle aspiranti mamme che cercano una gravidanza e a quelle in attesa si raccomanda di adottare uno stile di vita sano e un'alimentazione equilibrata per tutelare la salute futura del nascituro. Ma non sono le uniche a dover prestare attenzione. Anche lo stile di vita paterno prima del concepimento può influire sullo sviluppo embrionale. Lo fanno presente gli specialisti dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, che hanno condotto un sondaggio su oltre mille aspiranti papà in collaborazione con i siti www.nostrofiglio.it e www.periodofertile.it.
Le risposte al questionario hanno evidenziato che gli uomini sono scarsamente informati sui rischi che derivano da obesità, fumo ed esposizione a sostanze tossiche prima del concepimento.
Il 45% degli aspiranti padri coinvolti nell'indagine ha riferito di essere obeso o in sovrappeso, un fattore di rischio per l'alterazione del DNA fetale coinvolto nelle prime fasi della crescita embrionale. Il 34% degli intervistati, inoltre, dichiara di fumare, nonostante il fumo di sigaretta abbia effetti inibitori sulla fertilità maschile e aumenti il rischio di malformazioni congenite cardiache, anorettali e delle vie genito-urinarie. I figli di padri che fumavano prima del concepimento corrono un rischio di sviluppare la leucemia linfoblastica acuta infantile superiore del 25% rispetto ai figli dei papà che non fumavano. La percentuale sale al 44% se il numero delle sigarette fumate superava le 20 al giorno.
C'è poi il capitolo dei rischi professionali: l'esposizione prolungata a pesticidi, piombo, gas di scarico, vernici professionali, solventi organici e prodotti usati nelle lavanderie a secco aumentano il rischio di malformazioni, tumori infantili e sottopeso alla nascita. I lavoratori più a rischio sono cuochi, giardinieri, addetti alle pulizie e impiegati del settore agricolo. Dal sondaggio risulta che il 22% degli aspiranti padri è esposto a questo genere di rischi.
Infine, il capitolo farmaci: alcuni principi attivi, contenuti in antinfiammatori, antipertensivi, antipsicotici o in medicine per la cura di problemi gastrici, possono accrescere del 50% il rischio di complicanze della gravidanza e di difetti congeniti.
Come accade anche per le aspiranti e future mamme, su alcuni fattori di rischio si può intervenire, limitandoli, su altri no. L'importante è esserne informati e rivolgersi al proprio medico curante per valutare la situazione e adottare tutti i possibili accorgimenti.